Corpo di donna (1924) di Pablo Neruda, poesia che celebra la donna come madre natura

14 Novembre 2025

Scopri la magia dei versi di Corpo di donna, poesia di un giovane Pablo Neruda dedicata alla magica bellezza naturale delle donne.

Corpo di donna (1924) di Pablo Neruda, poesia che celebra la donna come madre natura

Corpo di donna di Pablo Neruda è una poesia che fu scritta dal poeta cileno quando aveva solo 19 anni, ma scrive come un uomo che ha già visto l’amore diventare destino, ossessione, colpa e redenzione. un’opera giovanile, e porta con sé tutta la forza e la fragilità della scrittura adolescenziale di Neruda.

Nonostante questa origine acerba, il componimento fu accolto con grande favore dal pubblico e da buona parte della critica, che riconobbe immediatamente nella sua intensità sensuale, nella sua immaginazione naturale e nella sua emotività radicale il segno di una voce destinata a lasciare un’impronta profonda nella poesia del Novecento.

Corpo di donna è l’ingresso in questo universo febbrile. Una poesia che non parla solo di un corpo, ma del modo in cui il corpo femminile diventa per il poeta una geografia interiore: terra, arma, salvezza. Una mappa di luce e di ombra in cui il giovane Neruda proietta la propria inquietudine maschile, la fame di amore, la paura dell’abbandono.

È una poesia fisica, carnale, quasi brutale, e al tempo stesso profondamente malinconica. Perché dietro la celebrazione del corpo c’è la confessione dell’uomo vuoto, del tunnel deserto da cui “fuggono gli uccelli”, dell’anima che cerca nel corpo dell’altra non un piacere, ma un riparo. Il corpo femminile non è solo oggetto del desiderio: è il luogo in cui il poeta tenta di sopravvivere a sé stesso.

Corpo di donna è la poema che apre la raccolta  Venti poesie d’amore e una canzone disperata (Veinte poemas de amor y una canción desesperada) di Pablo Neruda, pubblicata per la prima volta nel 1924.

Leggiamo questa intensa poesia di Pablo Neruda per viverne le emozioni e comprenderne il significato.

Corpo di donna di Pablo Neruda

Corpo di donna, bianche colline, cosce bianche,
tu appari al mondo nell’atto dell’offerta.
Il mio corpo di contadino selvaggio ti scava
e fa saltare il figlio dal fondo della terra.

Fui deserto come un tunnel. Da me fuggirono gli uccelli,
e in me la notte forzava la sua invasione poderosa.
Per sopravvivere ti forgiai come un’arma,
come freccia nel mio arco, pietra nella mia fionda.

Ma viene l’ora della vendetta, e ti amo.
Corpo di pelle, di muschio, di latte avido e fermo.
Ah, le coppe del seno! Ah, gli occhi d’assenza!
Ah, le rose del pube! Ah, la tua voce lenta e triste!

Corpo della mia donna, resterò nella tua grazia.
Mia sete, mia ansia senza limite, mia strada indecisa!
Oscuri alvei da cui nasce l’eterna sete,
e la fatica nasce, e l’infinito dolore.

 

Cuerpo de mujer, Pablo Neruda

Cuerpo de mujer, blancas colinas, muslos blancos,
te pareces al mundo en tu actitud de entrega.
Mi cuerpo de labriego salvaje te socava
y hace saltar el hijo del fondo de la tierra.

Fuí solo como un túnel. De mí huían los pájaros,
y en mí la noche entraba su invasión poderosa.
Para sobrevivirme te forjé como un arma,
como una flecha en mi arco, como una piedra en mi honda.

Pero cae la hora de la venganza, y te amo.
Cuerpo de piel, de musgo, de leche ávida y firme.
Ah los vasos del pecho! Ah los ojos de ausencia!
Ah las rosas del pubis! Ah tu voz lenta y triste!

Cuerpo de mujer mía, persistiré en tu gracia.
Mi sed, mi ansia sin límite, mi camino indeciso!
Oscuros cauces donde la sed eterna sigue,
y la fatiga sigue, y el dolor infinito.

La donna, l’immagine più alta che la natura offre

Corpo di donna è la poesia di Pablo Neruda che descrive attraverso l’immagine fisica femminile l’origine stessa del mondo. La donna appare come la forma più compiuta e più alta della natura, la sua espressione definitiva. Le “bianche colline”, le “cosce bianche”, la postura d’offerta non sono metafore decorative, ma la rivelazione di una verità primordiale.
Il corpo femminile è terra, orizzonte, paesaggio fertile. È un luogo in cui la vita accade.

Per il giovane poeta, l’incontro con questo corpo non è un’esperienza estetica, ma un’esperienza cosmica. La donna concentra in sé ciò che la natura ha di più vasto: la forza che genera, la disponibilità all’accoglienza, l’energia che trasforma. Per questo l’uomo non si pone come osservatore distante, ma come “contadino selvaggio”: non contempla la natura, la attraversa, la scava, la vive.

In questa immagine potente si intrecciano eros e destino. Il corpo della donna diventa l’unico spazio in cui l’uomo può ritrovare un senso, un luogo dove la solitudine si placa per un istante e la notte interiore trova un varco. La donna non è idealizzata, non è astratta: è presenza fisica e spirituale insieme, un corpo che salva e ferisce, che dà riparo e riapre la sete.

Per Neruda, a diciannove anni, la donna è la natura alla sua massima intensità. E il desiderio diventa il modo più umano, e più fragile, per tentare di avvicinarsi al mistero della vita.

Il contesto e alcune curiosità sulla nascita della poesia

Quando Pablo Neruda scrive Corpo di donna ha soltanto diciannove anni, ma attraversa una fase creativa che somiglia più a un’eruzione che a un apprendistato. Vive a Santiago, lontano dalla regione d’origine, Temuco, e sperimenta per la prima volta la solitudine urbana, il desiderio, l’insicurezza. È in quel periodo che il giovane Ricardo Neftalí Reyes Basoalto costruisce la sua identità di “Neruda”, scegliendo il cognome ceco di Jan Neruda come una maschera letteraria sotto cui cominciare a reinventarsi.

Questo è il clima emotivo in cui nasce la poesia. Un ragazzo che sente tutto troppo, il corpo, l’abbandono, l’urgenza dell’amore, il buio delle notti interminabili.
La materia di Corpo di donna non è la maturità, ma è l’eccesso tipico dell’età giovanile.

La poesia apre Venti poesie d’amore e una canzone disperata, una raccolta che non assomiglia a nulla di ciò che la poesia cilena coeva stava producendo. Il linguaggio è audace, carnale, talvolta spregiudicato. L’immaginario è tutto costruito sul mito della terra ed è insieme sensuale e cosmico.

Nonostante questo carattere istintivo, quasi brutale, il libro fu accolto con un entusiasmo immediato. I lettori riconobbero quel tipo di amore assoluto, febbrile, impaurito. La critica più tradizionale, invece, reagì con imbarazzo e scandalo.

Il Cile degli anni Venti non era pronto a leggere versi come “Ah, le rose del pube!” pronunciati con totale assenza di pudore. Ma proprio questo scandalo contribuì alla diffusione del libro, che in pochi anni divenne un caso editoriale, fino a superare, nel tempo, i due milioni di copie vendute.

Un altro nodo riguarda la “donna” della poesia.

Pablo Neruda non scrive per una sola figura femminile. Le esperienze amorose di quegli anni sono confuse, sovrapposte, irrisolte. I biografi indicano due presenze principali:

  • Albertina Rosa Azócar, una compagna di studi con cui il poeta ebbe una relazione tormentata e intellettualmente vivace.
  • Teresa León Basso, giovane di Temuco, considerata il suo primo amore vero, quello più ingenuo e istintivo.

Ma Corpo di donna non è dedicata singolarmente a nessuna delle due. È la sublimazione di tutte. È la donna intesa come origine, come forza vitale, come rifugio e tormento insieme. Lo stesso Neruda, interpellato anni dopo sul realismo dei suoi versi, preferì rispondere in una lettera a La Nación più con un principio poetico che con un fatto biografico:

Mi sono messo in ogni cosa che è uscita da me, con sincerità e volontà.

Corpo di donna è il “Poema 1” non per caso. Funziona come un portale, annuncia immediatamente il tono della raccolta, il suo universo simbolico, la dialettica tra eros e solitudine, tra natura e destino. Qui c’è tutto Neruda giovane: la sua fame d’amore, la sua notte, la sua sete.

Paradossalmente, Neruda adulto non fu sempre felice di essere identificato soprattutto con queste poesie giovanili. Sentiva che la fama di Venti poesie finiva per oscurare il suo lavoro maturo, soprattutto quello politico ed epico del Canto General. Ma non rinnegherà mai la bellezza di questi versi, ne riconoscerà sempre la sincerità, l’urgenza, la verità emotiva.

Il viaggio ideale del giovane Neruda nel corpo femminile

La poesia si apre con un’immagine che è già dichiarazione di poetica. La donna viene assimilata al paesaggio: “bianche colline, cosce bianche”. Non è un semplice paragone estetico, ma una trasformazione ontologica. La donna è la natura stessa, il punto più alto e più puro che la terra offre.

Nel suo gesto d’offerta, il poeta vede l’origine del mondo, la forza primigenia che genera. Di fronte a questa potenza, l’io lirico si definisce “contadino selvaggio”: non un amante raffinato, ma una creatura istintiva, primitiva, che incontra il corpo come si incontra la terra, lavorandola, scavandola, facendola fiorire. L’amore diventa un atto fisico che richiama il lavoro agricolo, la vita che esplode dal fondo della terra.

La seconda strofa porta un improvviso rovesciamento. Dopo l’espansione naturale iniziale, emerge il deserto interiore dell’io poetico. “Fui deserto come un tunnel”: l’immagine è brutale, oscura, e rappresenta una condizione di totale abbandono.

Gli uccelli fuggono, la notte invade: prima dell’amore, il poeta è un luogo svuotato della vita. È in questa solitudine che la donna viene “forgiata come un’arma”: non un rifugio, ma uno strumento di sopravvivenza. L’amore non nasce come dono reciproco, ma come necessità vitale. La donna diventa arco, freccia, fionda: oggetti primitivi che salvano dal precipizio interiore.

Nella terza strofa esplode il paradosso centrale della poesia: “ma viene l’ora della vendetta, e ti amo”. La vendetta non è violenza: è la resa. Ciò che era arma diventa amore; ciò che era difesa diventa vulnerabilità. Il poeta guarda il corpo della donna con un desiderio che non è più selvaggio, ma adorante.

Le parti del corpo vengono evocate una a una, il seno, gli occhi, il pube, la voce, con una tensione che unisce erotismo e malinconia. Non c’è trionfo. C’è un amore che nasce già intriso di assenza, un desiderio che contiene in sé la sua stessa fragilità.

La quarta strofa è la conclusione più vicina alla poetica di Pablo Neruda, quella della sete eterna. Il poeta, ormai disarmato, afferma che resterà nella grazia della donna, come se quel corpo fosse l’unico porto della sua esistenza incerta. Ma l’amore non lo salva, ma lo conduce in un luogo ancora più profondo.

“Oscuri alvei da cui nasce l’eterna sete”

È l’immagine del desiderio come un fiume sotterraneo, un bisogno che non conosce riposo. La poesia non racconta la pienezza ma la mancanza. L’amore allevia il dolore e allo stesso tempo lo rivela. Attenua la solitudine e insieme la rende più nitida. Nel finale tutto continua a scorrere senza soluzione definitiva.

La fatica rimane, il dolore sembra non finire mai, il desiderio non trova pace. È la condizione umana nella sua verità più nuda, fragile e febbrile, sempre in cammino.

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