Una poesia in omaggio di chi ha dato la propria vita per combattere la mafia. Oggi, 21 marzo, ricorre la Giornata della Memoria delle vittime innocenti delle mafie. L’elenco dei nomi sembra non finire mai: ad oggi, si contano infatti 1006 persone morte per mano della mafia, di cui 119 donne e 122 minori. Molte di queste vittime, circa la metà, non hanno ancora ricevuto giustizia.
Per ricordare tutti questi uomini, donne e bambini morti ingiustamente, leggiamo una toccante poesia scritta in dialetto siciliano da Felicia Impastato, madre del famoso Peppino Impastato, giornalista ucciso dai mafiosi di Cosa Nostra il 9 maggio 1978 a Cinisi. Leggiamola insieme nella sua versione originale e in traduzione.
“Chistu unn’è me figghiu”
Chistu unn’è me figghiu.
Chisti un su li so manu
chista unn’è la so facci.
Sti quattro pizzudda di carni
un li fici iu.
Me figghiu era la vuci
chi gridava ’nta chiazza
eru lu rasolu ammulatu
di li so paroli
era la rabbia
era l’amuri
chi vulia nasciri
chi vulia crisciri.
Chistu era me figghiu
quannu era vivu,
quannu luttava cu tutti:
mafiusi, fascisti,
omini di panza
ca un vannu mancu un suordu
patri senza figghi
lupi senza pietà.
Parru cu iddu vivu
un sacciu parrari
cu li morti.
L’aspettu iornu e notti,
ora si grapi la porta
trasi, m’abbrazza,
lu chiamu, è nna so stanza
chi studìa, ora nesci,
ora torna, la facci
niura come la notti,
ma si ridi è lu suli
chi spunta pi la prima vota,
lu suli picciriddu.
Chistu unn’è me figghiu.
Stu tabbutu chinu
di pizzudda di carni
unn’è di Pippinu.
Cca dintra ci sunnu
tutti li figghi
chi un puottiru nasciri
di n’autra Sicilia.
Traduzione italiana di “Chistu unn’è me figghiu”
Questo non è mio figlio.
Queste non sono le sue mani
questo non è il suo volto.
Questi brandelli di carne
non li ho fatti io.
Mio figlio era la voce
che gridava nella piazza
era il rasoio affilato
delle sue parole
era la rabbia
era l’amore
che voleva nascere
che voleva crescere.
Questo era mio figlio
quand’era vivo,
quando lottava contro tutti:
uomini di panza
che non valgono neppure un soldo
padri senza figli
lupi senza pietà.
Parlo con lui vivo
non so parlare
con i morti.
L’aspetto giorno e notte,
ora si apre la porta
entra, mi abbraccia,
lo chiamo, è nella sua stanza
a studiare, ora esce,
ora torna, il viso
buio come la notte,
ma se ride è il sole
che spunta per la prima volta,
il sole bambino.
Questo non è mio figlio.
Questa bara piena
di brandelli di carne
non è di Peppino.
Qui dentro ci sono
tutti i figli
non nati
di un’altra Sicilia.
Un dolore straziante
Con questa poesia, Felicia Impastato dà voce all’immenso dolore che la attanaglia nell’assistere alle esequie del figlio. Sopravvivere ai propri figli è sempre una tragedia, e se si tratta di un omicidio di mafia efferato come quello di cui è stato vittima Peppino Impastato, il trauma e la sofferenza sono incommensurabili: lo si percepisce bene leggendo questi versi strazianti, pregni di amore, dispiacere e rabbia.
Nella poesia si distinguono due “Peppino” diversi: uno è il Peppino in vita, che ha un suo volto, una sua fisionomia e un carattere ribelle e battagliero; l’altro è il Peppino morto, fatto a pezzi, sfigurato e irriconoscibile agli occhi della madre.
Traspare immediatamente l’immagine vivida di un ragazzo con le idee chiare, che voleva debellare la mafia e rendere il mondo in cui viveva un posto migliore, che “lottava contro tutti”, che era “la voce/che gridava nella piazza” e tentava faticosamente di risvegliare le coscienze per sconfiggere la mafia con tutti i mezzi a sua disposizione. E, in effetti, la biografia di quest’uomo parla chiaro: si tratta di una descrizione più che fedele, perché sin da quando era solo un ragazzino, Peppino ha fatto di tutto pur di lottare contro la mafia, sin da quando, da ragazzino, è stato cacciato di casa dal padre – mafioso e complice del boss Marcello Badalamenti – per via delle sue idee antimafiose.
Fondatore de “L’idea socialista”, firma autorevole del “Manifesto” e di “Lotta continua”, Peppino Impastato non si è mai fermato, neanche dinanzi alle numerose minacce ricevute. Ha promosso attività culturali come il gruppo “Musica e cultura”, perché convinto del potere della cultura per sconfiggere il malaffare, e ha fondato una radio libera, la famosa “Radio Aut”, in cui venivano denunciati tutti gli atti criminosi della mafia di Cinisi e di Terrasini, deridendo mafiosi e politici.
La lotta contro la mafia
“Chistu unn’è me figghiu” è un grido con cui Felicia Impastato vuole raggiungere tutti coloro che hanno perso qualcuno per mano della mafia. Lo si capisce dall’ultima strofa, in cui la bara del figlio giunge a rappresentare “tutti i figli/non nati/di un’altra Sicilia”, una Sicilia libera dalle associazioni mafiose, una Sicilia di legalità e pace, la Sicilia per cui Peppino Impastato, così come numerose altre persone prima e dopo di lui, hanno lottato fino alla fine contro la mafia.
Nessuno poteva fermare la forza di libertà e legalità che muoveva le azioni di Peppino Impastato. E anche dopo il suo assassinio, le sue idee hanno continuato a diffondersi grazie ad altri uomini che hanno compreso il suo messaggio. Perché è vero ciò che diceva Giovanni Falcone: “Gli uomini passano, le idee restano. Restano le loro tensioni morali e continueranno a camminare sulle gambe di altri uomini”.