Chiederei ancora di più (1918) di Tagore, il vero amore vale più di qualsiasi cosa

12 Settembre 2025

Scopri i magici versi di “Chiederei ancora di più” di Rabindranath Tagore, la poesia che rivela come l'amore valga più del cielo e di tutte le ricchezze.

Chiederei ancora di più (1918) di Tagore, il vero amore vale più di qualsiasi cosa

Chiederei ancora di più non è soltanto una splendida poesia, ma una delle più luminose dichiarazioni d’amore che Rabindranath Tagore, il grande genio bengalese premio Nobel per la Letteratura nel 1913, ha donato all’umanità. In pochi versi essenziali, capaci di toccare la profondità dell’anima, il poeta svela l’essenza autentica dell’amare.

Amare davvero, per Tagore, è riconoscere che il dono più prezioso è la presenza dell’altro. È la consapevolezza che l’amore, quando è vero, arricchisce più di qualsiasi tesoro materiale, nutrendo lo spirito e rendendo la vita degna di essere vissuta.

Chiederei ancora di più è il canto V della raccolta Lover’s Gift (in italiano Dono d’amore) di Rabindranath Tagore, pubblicata per la prima volta da The MacMillan Company a New York nel 1918. Una raccolta che unisce intimità e universalità, individuale e cosmico, in quel linguaggio poetico semplice e al tempo stesso filosofico che ha reso Tagore una delle voci più amate del Novecento.

Leggere questa breve ma intensa poesia di Tagore, significa lasciarsi trasportare dalla magia di un amore che non si misura con il possesso delle cose, ma con la profondità del cuore.

Chiederei ancora di più (Dono d’amore 5) di Rabindranath Tagore 

Chiederei ancora di più,
se avessi il cielo con tutte le sue stelle
e il mondo con le sue infinite ricchezze;
ma mi accontenterei del più piccolo angolo di questa terra,
se solo lei fosse mia.

 

I WOULD ask for still more (Lover’s Gift 5), Rabindranath Tagore 

I WOULD ask for still more,
if I had the sky with all its stars,
and the world with its endless riches;
but I would be content with the smallest corner of this earth
if only she were mine.

Un amore che vale più dell’infinito

Ci sono poesie che, pur nella loro brevità, contengono un messaggio capace di rovesciare l’ordine del mondo. Chiederei ancora di più di Rabindranath Tagore appartiene a questa categoria. In pochi versi il poeta bengalese compie un gesto sorprendente: mette a confronto l’immensità del cielo e le ricchezze del mondo con la semplicità di un piccolo angolo di terra, dimostrando che l’amore autentico è l’unica vera ricchezza dell’esistenza.

È una lirica che non celebra soltanto il sentimento individuale, ma afferma un principio universale: niente, nemmeno l’infinito, può dare valore alla vita quanto la presenza della persona amata.

Basta davvero poco quando si ama veramente

La poesia inizia con una dichiarazione che offre una visione non banale dell’esistenza.

Chiederei ancora di più

Una chiara dichiarazione d’intenti che evidenzia come il desiderio umano, per Tagore, tende per natura oltre ogni misura. È evidente che il poeta indiano tende ad enfatizzare il concetto che per natura si tende a volere le cose più grandi, più inarrivabili. È la dichiarazione di un uomo che peer convinzione non si pone limiti.

I due versi successivi mirano a definire la naturale voglia di possedere ogni cosa.

se avessi il cielo con tutte le sue stelle
e il mondo con le sue infinite ricchezze

Tagore mette in scena la pienezza assoluta, combinando la grandezza cosmica del cielo stellato con l’abbondanza materiale delle ricchezze del mondo. È un’immagine volutamente esagerata, una somma di infinito e di potere terreno che sembra racchiudere tutto ciò che l’uomo può desiderare.

Eppure, nel modo stesso in cui il poeta la presenta, si avverte che non è ancora abbastanza. Il “se avessi” rimane sospeso, ipotetico, come a dire che neppure l’unione di cielo e terra riesce a saziare davvero il cuore umano.

La prima parte della poesia serve per enfatizzare il messaggio vero che il poeta Premio Nobel vuole condividere.

ma mi accontenterei del più piccolo angolo di questa terra,
se solo lei fosse mia.

Rabindranath Tagore riesce a focalizzare il verso senso dell’amore, ovvero cosa si è disposti a fare per la persona che si ama. Nei versi finali svolta il senso della poesia, con un sempolice “ma” che cancella l’iperbole precedente e ribalta la logica della grandezza. È chiaro che riesce a trasformare il minimo facendolo diventare superiore al massimo.

Non servono stelle né ricchezze, basta un piccolo angolo di terra. È un luogo concreto, semplice, quotidiano, ma reso infinito dalla presenza della persona amata. Il verso conclusivo, “se solo lei fosse mia”, non esprime un possesso egoistico, ma la tensione verso una reciprocità che dà senso a tutto. In questo punto la poesia si chiude come un cerchio. Ciò che sembrava grande si rivela vuoto, ciò che sembra piccolo diventa pienezza.

Un messaggio che dovremmo imparare tutti

La forza di questa poesia di Tagore sta tutta nel ribaltamento finale. Dopo aver evocato il cielo e le sue stelle, il mondo con le sue ricchezze infinite, immagini che sembrano offrire l’assoluto e il compimento di ogni desiderio, il poeta introduce un “ma” che stravolge tutto. È come se dicesse: “niente di questo ha davvero valore se manca ciò che conta davvero”. E quel “conta davvero” non è altro che la presenza della persona amata, capace di trasformare il più piccolo angolo di terra in un universo completo.

In questo passaggio si nasconde una verità di portata universale: la grandezza non abita nelle cose, né nell’accumulo, né nella vastità; abita nella qualità delle relazioni. È l’amore, inteso non come possesso ma come reciprocità e dedizione, che rende smisurato anche ciò che è minuscolo. Tagore ci ricorda che non c’è immensità senza l’altro, che il cielo e la terra non bastano se mancano gli occhi, la voce, la presenza di chi amiamo.

Se leggiamo questi versi alla luce della nostra epoca, il messaggio diventa ancora più urgente. Viviamo in un tempo che ci spinge continuamente verso il “cielo” e le “ricchezze”: performance, successo, visibilità, accumulo di beni e di esperienze. È un orizzonte in cui sembra che la vita valga solo se è piena di “tutto”. Eppure, in questa corsa senza fine, cresce spesso un senso di vuoto, come se il “molto” non riuscisse mai a colmare il cuore.

Tagore, più di un secolo fa, aveva già individuato l’antidoto: il ritorno all’essenziale, al “piccolo angolo di terra”. Non un altrove spettacolare, non l’illusione di avere il mondo, ma uno spazio minimo che diventa smisurato perché abitato da amore e intimità. È una lezione che va oltre la sfera privata: ci parla di un bisogno collettivo di riscoprire la misura, la sobrietà, la centralità delle relazioni autentiche.

In fondo, la poesia di Tagore non è solo una dichiarazione d’amore individuale, ma un manifesto contro la logica dell’accumulo e del potere. È come se ci dicesse che la vera ricchezza di una vita non si misura da ciò che si possiede, ma da chi la condivide con noi. In questo senso, l’“ancora di più” evocato nel titolo non è l’ennesimo bene da aggiungere, ma la consapevolezza che l’amore, quando è vero, vale più del cielo e della terra insieme.

La poesia di Rabindranath Tagore ci insegna che il cielo e le ricchezze del mondo non bastano a dare senso alla vita: ciò che conta è il piccolo angolo di terra condiviso con chi amiamo. In un tempo dominato dall’ossessione del “sempre di più”, questi versi ribaltano le priorità e ci ricordano che la vera ricchezza non è nell’avere, ma nell’essere insieme. È questa la felicità più grande, semplice e universale: un bene che nessun possesso potrà mai eguagliare.

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