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“Canzone di Marzo” (1903) di Giovanni Pascoli, poesia sul valore di scegliere la gioia

Scopri il significato di "Canzone di Marzo" di Giovanni Pascoli, poesia sul potere di scegliere e impegnarsi per trovare la gioia che la vita toglie.

Canzone di Marzo di Giovanni Pascoli è una poesia che mette in scena le grandi contraddizioni che porta il mese che annuncia la primavera. Per il poeta il risveglio primaverile è qualcosa che sopraggiunge alla tremenda notte che vive nel suo cuore. I suoi versi sono costantemente in bilico tra la gioia del risveglio dell’anima e la paura che la felicità sia sempre e solo un’illusione.

Attraverso le immagini della natura pre primaverile, il poeta di San Mauro di Romagna ci esprime in modo simbolico le emozioni che vivono nella sua anima, immersa nella disillusione che la vita possa davvero offrire vera pace.

Canzone di Marzo fa parte della raccolta. di poesie I Canti di Castelvecchio di Giovanni Pascoli pubblicata per la prima volta nel 1903.

Leggiamo questa meravigliosa poesia di Giovanni Pascoli per viverne l’atmosfera e scoprirne il significato.

Canzone di Marzo di Giovanni Pascoli

Che torbida notte di marzo!
Ma che mattinata tranquilla!
che cielo pulito! che sfarzo
di perle! Ogni stelo, una stilla
che ride: sorriso che brilla
su lunghe parole.

Le serpi si sono destate
col tuono che rimbombò primo.
Guizzavano, udendo l’estate,
le verdi cicigne tra il timo;
battevan la coda sul limo
le biscie acquaiole.

Ancor le fanciulle si sono
destate, ma per un momento:
pensarono serpi, a quel tuono;
sognarono l’incantamento.
In sogno gettavano al vento
le loro pezzuole.

Nell’aride bresche anco l’api
si sono destate agli schiocchi.
La vite gemeva dai capi,
fremevano i gelsi nei nocchi.
Ai lampi sbattevano gli occhi
le prime viole.

Han fatto, venendo dal mare,
le rondini tristo viaggio.
Ma ora, vedendo tremare
sopr’ogni acquitrino il suo raggio,
cinguettano in loro linguaggio,
ch’è ciò che ci vuole.

Sì, ciò che ci vuole. Le loro
casine, qualcuna si sfalda,
qualcuna è già rotta. Lavoro
ci vuole, ed argilla più salda;
perchè ci stia comoda e calda
la garrula prole.

La forza di scegliere il meglio e il bello

Canzone di Marzo è una poesia di Giovanni Pascoli in cui la natura viene personificata e osservata con sguardo attento e meravigliato.

Ogni strofa si concentra su un aspetto del risveglio primaverile, sottolineando la contrapposizione tra il turbamento e la serenità, tra la paura e la speranza.

Non c’è mai pace in Pascoli, non c’è la serenità di poter accettare che la vita possa scorrere in modo fluido, senza arrecare dolore.

Il contrasto tra la notte e la mattina

La prima strofa della poesia presenta il forte contrasto tra la “torbida notte” e la “mattinata tranquilla”. Marzo porta con sé ancora il caos, la tempesta, il buio dei mesi invernali. Ma, apre le porte al risveglio sereno, il cambiamento è in atto. Il “cielo è pulito” e le gocce di pioggia sui fili d’erba (steli) sembrano “perle” preziose. Tutta la natura sembra celebrare la gioia, il rinnovamento.

Pascoli utilizza la metafora del sorriso che brilla per dare un senso a questo sentore di sopraggiunta felicità. La natura, dopo la tempesta, sorride di nuovo. Il riferimento alle lunghe parole, sono i pensieri interiori che animano i dubbi sulla vita dello stesso poeta. Marzo porta spontanea e naturale semplicità, non c’è spazio per le elucubrazioni che generano sconforto.

Le serpi si risvegliano

Nella seconda strofa protagoniste sono “le serpi” e “le biscie”. Con l’arrivo della primavera, i serpenti si risvegliano grazie all’arrivo dei primi raggi di sole che scaldano la terra. Simbolicamente, Giovanni Pascoli intende evidenziare che il primo risveglio di marzo è sempre per chi cova del male dentro, non per la spontanea e impulsiva ingenuità delle fanciulle che arrivano nella terza strofa.

Il primo tuono è come un segnale che annuncia il risveglio della natura. Le “cicigne verdi” sono sempre dei piccoli serpenti che evidenziano che il male continua a rivivere e a rinascere per primo rispetto ad ogni cosa. Così come e “biscie acquaiole sbattono la coda nel fango”, ovvero creature che amano godere dei dolori e dei mali altrui.

La “libertà” desiderata dalla ragazze

Nella terza strofa scendono in campo le fanciulle. Le quali udendo il tuono primaverile anch’esse si svegliano ancora condizionate dai “maliziosi” sogni notturni, nel sogno hanno vissuto l’illusione di poter essere libere di dare sfogo alle loro più intime passioni e pulsioni.

Questo è un passaggio importante della poesia perché in realtà il poeta non condanna l’ingenua malizia delle ragazze, ma il vivere il senso di colpa di pensare come le “serpi”, come le malelingue, come chi distribuisce dolore, anziché coltivare la gioia.

In realtà, il risveglio e la liberazione di poter vivere la loro libera e serena vita non è ancora raggiunta.

Il risveglio delle api

Dal mondo “maligno” il poeta inizia a guardare al risveglio della vita buona, della gioia, della felicità, del rinnovamento, dell’amore.

Anche le api si svegliano con il temporale. Le bresche sono le cellette del favo, che erano arideì, a causa dell’inverno, ma ora si rianimano. La vite, i gelsi e le viole rispondono al cambiamento climatico. La vite geme, i gelsi fremono, e le viole sbattono gli occhi ai lampi, un’immagine delicata e poetica per descrivere il risveglio della vita e la purificazione che porta al vero bene.

Grazie alle api tutta la natura si rinnova, inizia a generare nuova vita, tutto passa dalo gigio ai colori più belli e accesi. La gioia inizia a prendere finalmente il sopravvento sul male. Quel tuono ha fatto da spartiacque tra chi vuol continuare a vivere guardando al male e chi invece crede che la vita sia solo gioia, cura, amore e felicità.

Bisogna saper accettare che il mondo sia così. Molte volte convivono nella nostra anima il bene e il male. Questo sembra essere l’ambiguo denso dei versi di Giovanni Pascoli.

L’arrivo delle rondini

La quinta strofa sembra confermare questa chiave di lettura della poesia. Le rondini hanno compiuto un “tristo viaggio” dal mare. Dopo mesi avversi e un viaggio che lascia sempre delle conseguenze dolorose, finalmente tornano a godere della bella stagione.

Una volta arrivate, vedono la luce riflettersi sugli stagni e si mettono a cinguettare, iniziando a condividere la gioia dell’essere tornate ad essere a casa.

Il loro canto è un simbolo di felicità e speranza. Il verso “ch’è ciò che ci vuole” sembra un’affermazione rassicurante. Il ritorno delle rondini è il segno che ci sia spazio per una nuova felicità.

La cura dei piccoli

Ricordiamo che la poesia fa parte de I Canti di Castelvecchio, ispirata alla figura materna dell’autore. La ricostruzione dei nidi è un chiaro riferimento a quella cura, a quell’affetto che Giovanni Pascoli dovette rinunciare fin da quando era un “fanciullino”.

Nella strofa conclusiva della poesia, Giovanni Pascoli richiama la ricostruzione di ciò che è stato distrutto, di ciò che ha generato dolore.

I nidi delle rondini sono stati danneggiati e ora devono essere ricostruiti con argilla più salda, affinché possano accogliere i piccoli (la garrula prole).

Il messaggio è chiaro, la primavera porta rinnovamento, ma anche impegno e fatica per ricostruire ciò che è stato distrutto. Questo può essere visto come una metafora della vita umana, in cui la nuova stagione primaverile, diventa il simbolo della speranza di poter ricostruire ciò che ha provocato dolore.

Per Giovanni Pascoli i versi di questa poesia tendono a condividere ciò che ha vissuto il poeta. La speranza per lui non esiste, ma il desiderio di poter scoprire ciò che non ha potuto avere nella vita diventano evidenti.

La poesia nello stile tipico del suo autore non è un inno alla speranza e alla gioia, anche perché con cruda osservazione il poeta ribadisce l’ambigua essenza della vita in cui il male e bene convivono costantemente.

Ma è l’ascolto del tuono primaverile che dovrebbe offrire la forza di volontà, simbolicamente associata alle api e alle rondini, di scegliere di ricostruire la propria vita guardando a ciò che di buono e belo questa riesce ad offrire.

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