“Batto alla tua porta di sogno”: Alda Merini e la luce di Eros e Thanatos

11 Settembre 2025

Scopri come nei versi di “Batto alla tua porta di sogno”, Alda Merini trasforma dolore e amore in immagini luminose, rivelando la forza vitale della poesia.

“Batto alla tua porta di sogno”: Alda Merini e la luce di Eros e Thanatos

La scrittura di Alda Merini, così sentita e privata, sempre tesa tra due estremi — Eros e Thanatos, tra grazia e follia —, ha il dono di toccare corde universali e giungere al lettore come un sasso in fondo a un lago: silenziosamente.

La poesia “Batto alla tua porta di sogno” — pubblicata ne “La volpe e il sipario” — è un esempio di questa sua tensione emotiva che l’ha accompagnata in un’andirivieni d’internamenti: una preghiera intima, che alterna immagini infantili a visioni di morte, carezze leggere a tagli di falce.

“Batto alla tua porta di sogno” di Alda Merini

Batto alla tua porta di sogno
con le mie nocche leggere,
con le mie mani leggere

come una bimba che cerca pace.
Vorrei parlarti del freddo del cuore,
del mio cuore di radice ferita.

Vorrei dirti che come te
ho bevuto un vino di troppo,
un vino di giusquiamo dolce,

un vino volonteroso
per cui la volontà dei poeti
diventa roccia sicura.

Tu che sei scalatore di mondi,
dovresti dirmi
perché la grazia rimane indietro

e perché dove c’è neve c’è freddo,
e dove c’è fuoco di passione
riarde il malefizio.

Ma poiché mi gratifico molto
di ciò che non ho in assoluto,
vorrei dirti che il mio cammino

è fatto di rose rosse
ogni volta che dal mio sguardo lui cade
come falce in cerca della morte.

Versi importanti

“Batto alla tua porta di sogno / con le mie nocche leggere, / con le mie mani leggere / come una bimba che cerca pace.”

Il bussare leggero di Merini evoca un innocente, quasi timoroso. È una Merini bambina che cerca rifugio, pace e consolazione; e, allo stesso tempo, è Alda Merini adulta che tenta di oltrepassare il varco tra vita e sogno, tra realtà e desiderio.

Riemerge nel passato, o in una realtà non più realtà: un ingresso fragile, dove basta un soffio per spezzarlo. Ma è proprio in questa fragilità che si annida la potenza poetica.

Non a caso l’immagine della bambina che cerca pace rimanda alle ferite originarie della poetessa, la cui adolescenza fu segnata da esperienze precoci di dolore e incomprensione.

“Vorrei parlarti del freddo del cuore, / del mio cuore di radice ferita.”

Merini parla qui di un cuore freddo, un’anima ferita: la sua malattia. Non è una malattia fisica, ma mentale, che la immobilizza. Vorrebbe dunque parlare alla sua sé bambina degli anni trascorsi nei manicomi, delle passioni che le lasciarono cicatrici profonde. Il cuore diventa una radice spezzata, piantata in una terra arida.

“un vino di giusquiamo dolce, / un vino volonteroso / per cui la volontà dei poeti / diventa roccia sicura.”

Il giusquiamo, pianta dal potere narcotico e velenoso, trasforma il vino in bevanda ambigua e pericolosa, che per Merini può essere insieme consolazione e veleno, oblio e ispirazione: è la metafora della poesia stessa; oblio di maledizione e salvezza — e qui vengono in mente i poeti maledetti, che l’oblio lo cercavano spesso e volentieri. Come il vino, la parola poetica inebria, dona coraggio, trasforma la fragilità in “roccia sicura” (V. 12).

La poetessa si rivolge poi a un “tu” enigmatico, forse l’amato, forse ancora un doppio interiore o forse al cuore che ha nel petto, quello che “riarde il malefizio” (V. 18).

“Tu che sei scalatore di mondi, / dovresti dirmi perché la grazia rimane indietro / e perché dove c’è neve c’è freddo, / e dove c’è fuoco di passione / riarde il malefizio.”

Qui si coglie la dialettica tipica di Merini: la grazia è sempre in ritardo rispetto al dolore, la passione brucia ma porta con sé maleficio. L’amore, tema centrale in tutta la sua opera, non è mai puro conforto: è una forza che eleva ma anche distrugge, che dona luce ma lascia cicatrici. Non a caso, Merini lo chiamava spesso “il mio vizio”, sottolineando la sua natura ossessiva e pericolosa.

Le rose rosse e la falce della morte

“vorrei dirti che il mio cammino / è fatto di rose rosse / ogni volta che dal mio sguardo lui cade / come falce in cerca della morte.”

La rosa rossa è da sempre simbolo di passione e di bellezza, ma nella poetica di Merini porta con sé anche dolore: un cammino “fatto di rose rosse” è un percorso dove il piacere convive con le spine. La falce, infine, è immagine di morte, ma non una morte astratta: è un richiamo alla fine imminente che aleggia costantemente sulla sua poesia, come compagna inseparabile.

Vita e poesia come martirio e rivelazione

Poetessa milanese, Merini è stata una delle voci più potenti e originali della poesia italiana contemporanea. La sua vita fu segnata da lunghi ricoveri psichiatrici, esperienze di marginalità e sofferenza, ma anche da un amore sconfinato per la scrittura e per la musica delle parole. Nei suoi versi convivono follia e lucidità, eros e spiritualità, dolore e lampi di gioia. Opere come “La presenza di Orfeo” hanno fatto di lei un simbolo di resilienza poetica, capace di trasformare la ferita in canto universale.

La “porta di sogno” è anche la porta della poesia stessa, quella a cui Alda Merini bussò per tutta la vita, con mani leggere ma cuore ferito. In ogni suo verso c’è la compresenza di grazia e dolore, follia e lucidità, amore e morte.

“La volpe e il sipario”, raccolta da cui è tratta questa poesia, è una delle ultime opere di Merini, pubblicata nel 1997 per Einaudi. La poesia “Batto alla tua porta di sogno” è una delle pagine più potenti di Alda Merini perché racchiude in sé i nuclei fondamentali della sua poetica: la ricerca di un amore assoluto, la consapevolezza della fragilità umana, la tensione tra eros e thanatos, il riscatto della parola poetica come ultimo varco verso la luce.

In questi versi il lettore percepisce tutta l’urgenza esistenziale della poetessa, il suo bussare incessante alla soglia della vita, chiedendo pace ma trovando sempre nuove ferite e nuove rose rosse.

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