Bambina mia (2019) di Mariangela Gualtieri, poesia che insegna ai figli il valore dell’amore

16 Agosto 2025

Scopri la bellezza di "Bambina mia", la preghiera di una madre che, rivolgendosi alla figlia, le chiede di credere in un mondo migliore grazie all'amore

Bambina mia (2019) di Mariangela Gualtieri, poesia che insegna ai figli il valore dell'amore

Bambina mia di Mariangela Gualtieri è la poesia che vogliamo dedicare a tutte le figlie – e in generale a tutti i figli – costretti a crescere in un mondo che sembra farsi ogni giorno più buio. Viviamo immersi in troppa violenza, rabbia e sopraffazione. Anche ciò che dovrebbe essere amore, talvolta, si trasforma in disperazione, offesa, persino morte.

I fatti di cronaca che leggiamo quotidianamente lo dimostrano con una brutalità sconvolgente: quante volte le nostre bambine e i nostri bambini vengono feriti, umiliati, violentati, uccisi? È in questo scenario che i versi della Gualtieri risuonano con una forza ancora più necessaria e attuale.

Una poesia però che invita a reagire e a resistere alle malvagità e alle bruttezze della vita, che offre un potente messaggio di speranza un testamento d’amore materno che attraversa le brutture del presente per consegnare alle nuove generazioni una visione di fiducia incrollabile nella vita e nell’umanità.
In un dialogo intimo con una figlia, che diventa metafora di tutti i figli del mondo,  la poetessa disegna un quadro disilluso della realtà contemporanea, per poi ribaltarlo in nome di una verità più luminosa.

Bambina mia è una poesia che fa parte della sezione Divinità domestiche della raccolta di poesie Quando non morivo, pubblicata da Einaudi nella “Bianca” (la celebre collana di poesia), per la prima volta nel 2019.

Leggiamo questa stupenda poesia di Mariangela Gualtieri che, consentitemi vorrei dedicare alle mie figlie e a tutti i figli del Pianeta.

Bambina mia di Mariangela Gualtieri

Bambina mia,
per te avrei dato tutti i giardini
del mio regno se fossi stata regina,
fino all’ultima rosa, fino all’ultima piuma.
Tutto il regno per te.

Ti lascio invece baracche e spine,
polveri pesanti su tutto lo scenario
battiti molto forti
palpebre cucite tutto intorno. Ira
nelle periferie della specie. E al centro
ira.

Ma tu non credere a chi dipinge l’umano
come una bestia zoppa e questo mondo
come una palla alla fine.
Non credere a chi tinge tutto di buio pesto e
di sangue. Lo fa perché è facile farlo.

Noi siamo solo confusi, credi.
Ma sentiamo. Sentiamo ancora.
Siamo ancora capaci di amare qualcosa.
Ancora proviamo pietà.

C’è splendore
in ogni cosa. Io l’ho visto.
Io ora lo vedo di piú.
C’è splendore. Non avere paura.

Ciao faccia bella, gioia piú grande.
Il tuo destino è l’amore.
Sempre. Nient’altro.
Nient’altro nient’altro.

Una poesia che dona ai figli la speranza

Bambina mia è molto più di una poesia. È un inno alla speranza e, insieme, un grido di resistenza contro la violenza e le ferite del nostro tempo. Nei suoi versi Mariangela Gualtieri assume la voce di una madre – reale o simbolica, che parla a una figlia, ma in realtà si rivolge a tutti i figli e le figlie di oggi, a tutte le nuove generazioni chiamate a vivere in un mondo lacerato dall’odio e dalla sopraffazione.

La poesia non nasconde la desolazione del presente. Evoca le “baracche e spine”, l’ira che dilaga, le “polveri pesanti” che soffocano la vita. Ma, allo stesso tempo, invita con forza a non arrendersi a questa visione cupa. Perché, nonostante tutto, c’è ancora sensibilità, pietà, capacità di amare.

E soprattutto, ribadisce con convinzione che “c’è splendore in ogni cosa”. Lo splendore non elimina il dolore, ma lo attraversa e lo illumina, restituendo fiducia all’essere umano. In questo senso Bambina mia diventa un’eredità spirituale e civile: un invito a credere, a resistere, ad amare ancora.

L’amore assoluto e il contrasto con la realtà

La poesia si apre con un’immagine di amore smisurato: una madre che, se fosse regina, donerebbe alla figlia tutto il suo regno, “fino all’ultima rosa, fino all’ultima piuma”. È un gesto iperbolico che rappresenta la purezza e l’assolutezza del sentimento materno.

Ma subito dopo il tono cambia: la madre ammette che l’eredità lasciata ai figli non è fatta di giardini, bensì di “baracche e spine”, di un mondo inquinato, colmo di rabbia e oscurità. È la consapevolezza amara di una generazione che, pur avendo desiderato donare bellezza, si ritrova a consegnare alle nuove generazioni un pianeta ferito.

Il rifiuto della disperazione e la difesa della sensibilità

Nella seconda parte, la voce poetica invita la figlia a non credere a chi dipinge l’uomo come “una bestia zoppa” e il mondo come una “palla alla fine”. È un monito contro il cinismo e il nichilismo che vedono solo buio e sangue, perché è sempre più facile raccontare la disperazione.

La poetessa propone invece un’altra lettura: “Noi siamo solo confusi, credi. Ma sentiamo. Sentiamo ancora.” L’essere umano, pur smarrito, resta capace di provare pietà, amore, compassione. È proprio questo nucleo fragile ma vitale di sensibilità che impedisce al mondo di precipitare definitivamente nel nulla.

Il compito delle nuove generazioni e la rivelazione dello splendore

Il testimone passa ora alla bambina: “Tocca a te, ora, a te tocca la lavatura di queste croste delle cortecce vive.”
Alla nuova generazione spetta il compito di purificare, di rimuovere ciò che è marcio per riportare alla luce la linfa vitale nascosta. È un invito all’azione, alla responsabilità, alla cura del mondo.

Il cuore della poesia si concentra poi sulla parola “splendore”: “C’è splendore in ogni cosa. Io l’ho visto. Io ora lo vedo di più.”
Lo splendore è la bellezza intrinseca della vita, capace di resistere al dolore e alla distruzione. Non è un’illusione ingenua, ma una certezza conquistata con lo sguardo di chi ha attraversato il buio e ha imparato a riconoscere la luce.

L’amore come destino finale

La poesia si chiude con un saluto tenero e intimo: “Ciao faccia bella, gioia più grande.” Dopo le riflessioni universali, la voce poetica ritorna alla dimensione più personale, quasi sussurrata, riportando al centro l’affetto concreto e quotidiano.

Poi arriva la dichiarazione che ha il tono di una preghiera e di un mantra: “L’amore è il tuo destino. Sempre. Nient’altro. Nient’altro. Nient’altro.”
La triplice ripetizione di “Nient’altro” ribadisce con forza assoluta che l’unica via possibile è l’amore: semplice, essenziale, inevitabile.

L’eredità di Bambina mia: scegliere l’amore contro l’ira

Bambina mia non è solo una poesia, è un atto sociale, politico e spirituale insieme. In un’epoca segnata da conflitti, odio e sopraffazione, Mariangela Gualtieri ci ricorda che la poesia non è evasione ma responsabilità: un linguaggio che può farsi cura, che indica un’altra possibilità di esistenza.

L’eredità che la poetessa affida ai figli non è un lascito materiale, ma un compito etico. Imparare a riconoscere lo splendore che resiste sotto le macerie, educarsi alla pietà, praticare l’amore come scelta quotidiana. Non un amore ingenuo o romantico, ma un amore tenace, che ha il coraggio di opporsi all’ira e alla distruzione.

È qui che il testo ci offre la sua verità più radicale: l’unica reazione possibile alla malvagità è l’amore. Non la vendetta, non la rassegnazione, non il cinismo. Solo l’amore, nella sua forma più limpida e ostinata, può spezzare la catena dell’odio e ridare futuro all’umanità.

In questo senso, Bambina mia diventa un manifesto per la nuova umanità: un invito a non lasciarsi paralizzare dal rancore, a coltivare invece quella sensibilità che ci rende ancora vivi e che, nonostante tutto, ci rende ancora capaci di bene.

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