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Auschwitz, la poesia di Salvatore Quasimodo contro ogni forma di violenza

Scopri la magia di Auschwitz la poesia di Salvatore Quasimodo che ci spinge a prendere posizione contro l'antisemitismo, il razzismo, la violenza e la barbarie.

Auschwitz di Salvatore Quasimodo è una poesia dedicata alla Shoah e che rappresenta uno dei più importanti manifesti del ‘900 contro l’antisemitismo, il razzismo, la barbarie, la violenza, il fondamentalismo.  

In occasione del 27 gennaio, la Giornata della Memoria, vogliamo offrire  questa poesia del grande Premio Nobel italiano, perché ci invita a prendere posizione in modo netto e deciso contro tutti coloro che si macchiano di violenza e barbarie nei confronti del prossimo. 

Vale per i singoli e vale per le collettività. Non può esserci spazio per l’omertà e la vigliaccheria se si vuole fermare il male. Far finta di niente rende complici allo stesso identico modo di chi compie violenza.

Auschwitz fu pubblicata all’interno della raccolta Il falso e vero verde (1956). Questa raccolta segna il passaggio, come sottolineò Goffredo Bellonci nella prima introduzione, del poeta siciliano dalla cosiddetta “poesia pura” (ossia l’Ermetismo) a una “poesia nuova”, definita “neorealismo”, che si pone come principio poetico l’impegno sociale, ovvero il compito del poeta di denunciare i mali e le debolezze della società e dell’umanità.

Auschwitz fu scritta da Salvatore Quasimodo  pochi anni dopo la rivelazione dell’orrore dei campi di sterminio nazisti. Un orrore che colpì il mondo intero e che non lascio insensibile il poeta, sempre attento a cogliere le piccole grandi emozioni individuali e collettive.

Quasimodo attraverso questa poesia vuole lanciare un monito forte e chiaro: Non deve mai più accadere!

Auschwitz il significato

La poesia di Salvatore Quasimodo rivela una contemporaneità stilistica che rende manifesto il grande genio dell’autore. Mutuando dalla lirica classica Quasimodo scrive i suoi versi come testimonianza.

L’autore nella poesia si rivolge a qualcuno di caro (amore) facendo vivere, come se scorressero le immagini di un film, l’orrore del campo di concentramento.

Non c’è vita nei versi di Quasimodo, ma solo il gelo della morte. Il male che si è generato ad Auschwitz è tangibile e intenso, neppure la pioggia riesce a purificare gli orrori commessi nel lager.

“Il lavoro vi renderà liberi”, quella maledetta insegna che apriva le porte di Auschwitz, diventa il simbolo dell’inferno creato dai nazisti. 

Auschwitz è il simbolo della tragedia umana e Quasimodo sembra denunciare tutti nessuno escluso, compreso sé stesso, per non aver impedito che questa tragedia potesse avvenire. 

L’omertà di molti ha permesso allo sterminio ingiustificato. Tutto ciò non dovrà mai più accadere, afferma quasi con rabbia Quasimodo negli ultimi versi della poesia. 

Auschwitz di Salvatore Quasimodo 

Laggiù, ad Auschwitz, lontano dalla Vistola,
amore, lungo la pianura nordica,
in un campo di morte: fredda, funebre,
la pioggia sulla ruggine dei pali
e i grovigli di ferro dei recinti:
e non albero o uccelli nell’aria grigia
o su dal nostro pensiero, ma inerzia
e dolore che la memoria lascia
al suo silenzio senza ironia o ira.

Tu non vuoi elegie, idilli: solo
ragioni della nostra sorte, qui,
tu, tenera ai contrasti della mente,
incerta a una presenza
chiara della vita. E la vita è qui,
in ogni no che pare una certezza:
qui udremo piangere l’angelo il mostro
le nostre ore future
battere l’al di là, che è qui, in eterno
e in movimento, non in un’immagine
di sogni, di possibile pietà.
E qui le metamorfosi, qui i miti.
Senza nome di simboli o d’un dio,
sono cronaca, luoghi della terra,
sono Auschwitz, amore. Come subito
si mutò in fumo d’ombra
il caro corpo d’Alfeo e d’Aretusa!

Da quell’inferno aperto da una scritta
bianca: “Il lavoro vi renderà liberi”
uscì continuo il fumo
di migliaia di donne spinte fuori
all’alba dai canili contro il muro
del tiro a segno o soffocate urlando
misericordia all’acqua con la bocca
di scheletro sotto le docce a gas.
Le troverai tu, soldato, nella tua
storia in forme di fiumi, d’animali,
o sei tu pure cenere d’Auschwitz,
medaglia di silenzio?

Restano lunghe trecce chiuse in urne
di vetro ancora strette da amuleti
e ombre infinite di piccole scarpe
e di sciarpe d’ebrei: sono reliquie
d’un tempo di saggezza, di sapienza
dell’uomo che si fa misura d’armi,
sono i miti, le nostre metamorfosi.
Sulle distese dove amore e pianto
marcirono e pietà, sotto la pioggia,
laggiù, batteva un no dentro di noi,
un no alla morte, morta ad Auschwitz,
per non ripetere, da quella buca
di cenere, la morte.

Salvatore Quasimodo, un grande genio italiano

Salvatore Quasimodo (20 agosto 1901, Modica – 14 giugno 1968, Napoli) è stato un poeta e traduttore italiano, esponente di rilievo dell’ermetismo.

Ha contribuito alla traduzione di vari componimenti dell’età classica, soprattutto liriche greche, ma anche di opere teatrali di Molière e William Shakespeare.

Quasimodo riceve nel 1959 il premio Nobel, «per la sua poetica lirica, che con ardente classicità esprime le tragiche esperienze della vita dei nostri tempi»

La poetica di Quasimodo

Quasimodo può ritenersi il più importante poeta dell’Ermetismo, quella corrente poetica della prima metà del ‘900 da cui progressivamente avevano preso le distanze sia Montale sia Ungaretti.

Principi fondamentali dell’Ermetismo erano il rovesciamento del decadentismo dannunziano, un’etica e un’estetica che rivendicassero la profonda libertà spirituale dell’uomo, l’opposizione alla disgregazione culturale e sociale dell’uomo e l’utilizzo di una scrittura che si ribellasse a qualsiasi imposizione esterna, ovvero la ricerca di una poesia pura, non corrotta.

Nel 1947 uscì la raccolta Giorno dopo giorno.  Un’opera che segna il passaggio dal primo Quasimodo ermetico ad un secondo Quasimodo, appassionato ai temi civili e sinceramente impegnato a rinnovare l’uomo.

La poesia, dal punto di vista espressivo, certamente cambia. Si fa più aperta, argomentata, esplicita. Bisogna farsi capire, come se l’ermetismo, avesse compiuta la sua missione di rinnovare la poesia, avesse ritrovato dentro sé quell’impegno civile che aveva rifiutato.

Le opere di Quasimodo

Tra le opere di Salvatore Quasimodo possiamo segnalare Acque e terre (1930), Oboe sommerso (1932), Odore di eucalyptus ed altri versi (1933), (Erato e Apòllìon) Nuove Poesie (1938), Ed è subito sera (1942) legate soprattutto alla prima fase poetica dell’autore, ovvero all poesia pura ermetica.

Del secondo Quasimodo, interprete della poesia nuova neorealista, segnaliamo Giorno dopo giorno (1947), La vita non è sogno (1949), Il falso e vero verde (1956), La terra impareggiabile (1958), Dare e avere (1959-1965) pubblicata. nel 1966.

Tra tutte queste, Quasimodo ha tradotto anche le opere di moltissimi autori greci e non solo (tra gli altri, anche William Shakespeare e Pablo Neruda) e prodotto altri scritti.

Saro Trovato

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