Il 25 maggio George Floyd, un afroamericano di 46 anni, è morto a Minneapolis, in Minnesota, dopo che un poliziotto gli ha tenuto il ginocchio premuto sul collo per alcuni minuti. Nel video dell’incidente si sente Floyd dire più volte “non riesco a respirare”. La sua morte ha inevitabilmente riacceso il dibattito sul razzismo, un tasto dolente della società americana.
Infatti, nonostante le lotte per una piena eguaglianza, negli Stati Uniti si verificano ancora oggi episodi di feroce razzismo. E, ormai, non stupisce neanche più che a perpetrare queste violenze siano in molti casi le stesse forze di polizia. Coloro che dovrebbero difendere i cittadini da minacce e ingiustizie finiscono per diventare gli aguzzini più temuti da parte della comunità nera.
In queste ore le immagini dell’assassinio di George Floyd stanno facendo il giro del mondo. E, per commentarle, noi ci affidiamo alle parole di Langston Hughes, poeta, scrittore e giornalista americano che negli anni Sessanta si schierò nettamente contro il razzismo, rivendicando pienamente la sua appartenenza all’America.
Martin Luther King e il discorso sulla violenza che risuona ancora attuale
Alla luce delle guerre che si combattono nel mondo e dei recenti avvenimenti di violenza, riportiamo un discorso sulla violenza di Martin Luther King che colpisce ancora oggi per la sua attualità
Anch’io sono l’America
Anch’io canto l’America.
Io sono il fratello più scuro.
Mi mandano a mangiare in cucina
Quando vengono ospiti,
ma io rido
e mangio bene
e divento forte.
Domani,
siederò a tavola
quando vengono gli ospiti.
Allora
Nessuno oserà
Dire di me
E poi,
vedranno come sono bello
e si vergogneranno:
anch’io sono l’America.