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“Amore dopo amore” (1976) di Derek Walcott, una straordinaria poesia che ci insegna ad amarci

Non possiamo amare qualcun altro se prima non impariamo ad amare noi stessi. Con "Amore dopo amore", Derek Walcott celebra l'arte di ritrovarsi.

Quante persone ami? Fra loro, ci sei anche tu? Non è una domanda scontata. Spesso non ci vogliamo abbastanza bene. Non ci apprezziamo né ci trattiamo con benevolenza. Come possiamo amare qualcun altro se prima non amiamo noi stessi? “Amore dopo amore” è una splendida poesia di Derek Walcott che affronta proprio questo tema.

“Amore dopo amore” di Derek Walcott

Tempo verrà
in cui, con esultanza,
saluterai te stesso arrivato
alla tua porta, nel tuo proprio specchio,
e ognuno sorriderà al benvenuto dell’altro,

e dirà: Siedi qui. Mangia.
Amerai di nuovo lo straniero che era il tuo Io.
Offri vino. Offri pane. Rendi il cuore
a se stesso, allo straniero che ti ha amato

per tutta la tua vita, che hai ignorato
per un altro che ti sa a memoria.
Dallo scaffale tira giù le lettere d’amore,

le fotografie, le note disperate,
sbuccia via dallo specchio la tua immagine.
Siediti. E’ festa: la tua vita è in tavola.

Il significato di questa poesia

Dove leggere “Amore dopo amore”

La voce di Derek Walcott sa unire la profondità dei miti antichi con la concretezza della carne e del quotidiano. Poeta caraibico nato a Saint Lucia nel 1930 e vincitore del Premio Nobel per la Letteratura nel 1992, Walcott è una delle figure di spicco della poesia contemporanea mondiale.

La sua opera nasce dall’incrocio di culture, memorie coloniali, radici africane ed europee, maree che s’incontrano in versi capaci di evocare, con limpida potenza, le contraddizioni dell’identità e dell’amore.

La sua scrittura abbraccia il paesaggio tropicale come fosse una patria perduta, e intesse, con la voce dell’esule e dell’innamorato, poesie che sono ritorni e ripartenze. “Amore dopo amore” – Love after Love – fu composta nel 1976 e fa parte della raccolta Sea Grapes, ma il lettore italiano può trovarla oggi nel volume Isole. Poesie scelte (Adelphi, 2009), che abbraccia l’intera parabola poetica dell’autore, dal 1948 al 2004. È una poesia tra le più emblematiche di Walcott, una carezza e insieme uno scossone, un invito a tornare a sé dopo lunghi pellegrinaggi verso l’altro.

Lo stile della poesia

Lo stile di Walcott in “Amore dopo amore” è sobrio, ma vibrante di risonanze. La parola è chiara, piana, come l’acqua che riflette il volto. Il testo si muove come un lento risveglio: ogni verso è parte di un percorso, un piccolo passo verso la riconciliazione con se stessi.

Non ci sono rime né strutture rigide; la forma è libera e colloquiale, eppure carica di un ritmo interiore che sembra provenire dalla musica del respiro. Le immagini sono semplici, quotidiane: una porta di casa, un bicchiere di vino, del pane sulla tavola, un volto nello specchio. Tutto parla di ritorno, di accoglienza. Anche il tono è particolare: non è ammonitorio né solenne, ma affettuoso, quasi fraterno.

C’è qualcosa di sacro e domestico insieme in questi versi: sembrano parole che una persona cara sussurrerebbe per scuoterci con dolcezza. Non stupisce che questa poesia venga spesso citata nei momenti di passaggio, nelle svolte esistenziali: è una formula, una preghiera laica per la guarigione interiore.

Amare se stessi

Nel cuore della poesia c’è un messaggio semplice e rivoluzionario: l’amore più urgente è quello che dobbiamo restituire a noi stessi.

Derek Walcott ci guida in un rito intimo, un pranzo d’onore in cui l’ospite da celebrare siamo noi. “Saluterai te stesso” scrive, con la grazia di chi ha conosciuto l’alienazione e la riconquista dell’anima. L’io che torna a casa è stato a lungo estraneo, sacrificato per inseguire un altro – forse un amore idealizzato, forse l’approvazione altrui – ma ora chiede attenzione, riconoscimento.

In una società che ci spinge costantemente verso l’esterno, che premia l’immagine e la performance, questi versi ci riportano al centro, al silenzio, al corpo, al bisogno di sentirsi di nuovo interi. Walcott non parla di narcisismo, ma di compassione.

Non ci invita a specchiarci per ammirarci, ma per rivedere, con onestà e affetto, ogni parte di noi: le lettere d’amore conservate, le “note disperate”, i dolori e le passioni. La poesia si chiude con un’immagine luminosa e accogliente: “È festa: la tua vita è in tavola.”

Dopo la separazione, dopo la perdita di sé, ecco il banchetto del ritorno. È un invito che vibra con particolare forza nei momenti in cui ci sentiamo smarriti, quando non ci riconosciamo più. In quei giorni, “Amore dopo amore” è una mano tesa che ci riporta a casa.

Nel mondo che corre, questa poesia chiede una pausa. Una tregua. Ci invita a sentire la nostra voce, il nostro passo, il nostro respiro. Ci chiede di amarci non come atto egoistico, ma come necessaria riconciliazione con la nostra stessa esistenza. Di sederci alla nostra tavola non come ospiti occasionali, ma come padroni di casa. Di tornare – finalmente – a noi stessi.

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