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“Alba”, l’emozionante lettera d’amore invernale di Giorgio Caproni

Sopraffatto dal gelido inverno livornese, Giorgio Caproni racconta l'amore e la vita nella poesia "Alba".

L’inverno, l’amore e la vita che scorre già dall’alba… Con “Alba” di Giorgio Caproni vi portiamo a Livorno, in una gelida mattina invernale, in compagnia di un io lirico assorto in pensieri esistenziali e sentimentali mentre cerca di scaldarsi sorseggiando una bevanda.

L’inverno, l’amore, la morte

Giorgio Caproni è stato una delle figure più innovative del Novecento in campo poetico. La ricerca della libertà espressiva, l’attenzione ai dettagli impercettibili della parola, il desiderio di creare un modo nuovo di poetare slegato dai vincoli che noi esseri umani ci imponiamo, ha reso la poesia di Giorgio Caproni unica nel suo genere.

Il componimento che scopriamo oggi si intitola “Alba” ed è tratto dalla raccolta Il “terzo libro” e altre cosepubblicata da Einaudi nel 1968.

L’alba di cui ci parla il poeta è gelida, vestita d’inverno e di freddi rumori che sanno di automatismi: le porte del tram che si aprono e si richiudono a ripetizione nel silenzio del primo mattino, così come l’impercettibile fragore del bicchiere di vetro che si infrange sui denti dell’io lirico.

Il “gelo” sembra quasi una presenza che si dilata nello spazio, occupando il mondo e i pensieri del protagonista del componimento.

Così i brividi si propagano dall’esterno all’interno, dall’occhio che percepisce il freddo, al sangue che diventa gelido al contatto con il marmo del tavolo del bar. E il brivido di freddo è simile a quello che il poeta prova attendendo la donna amata al tavolo.

La sua assenza non fa che acuire il freddo e approfondire i pensieri esistenziali dell’uomo che, guidato dai rumori sordi di un mattino che non si è ancora svegliato del tutto, rivolge la mente all’amore e, con delicatezza e naturalezza, alla morte.

La morte si palesa soltanto all’ultimo verso. “Morte” conclude un componimento che ha inizio con “Amore”. Amore e morte. La vita che si risveglia lentamente e l’inverno che congela, immobilizza. L’attesa che rende vivi e, al contempo, conduce al pensiero della morte. “Alba” è secondo alcuni una delle poesie più belle di Giorgio Caproni. Il perché, secondo noi, è evidente.

Alba di Giorgio Caproni

Amore mio, nei vapori d’un bar
all’alba, amore mio che inverno
lungo e che brivido attenderti! Qua
dove il marmo nel sangue è gelo, e sa
di rinfresco anche l’occhio, ora nell’ermo
rumore oltre la brina io quale tram
odo, che apre e richiude in eterno
le deserte sue porte?… Amore, io ho fermo
il polso: e se il bicchiere entro il fragore
sottile ha un tremitìo tra i denti, è forse
di tali ruote un’eco. Ma tu, amore,
non dormi, ora che in vece la tua già il sole
sgorga, non dirmi che da quelle porte
qui, col tuo passo, già attendo la morte.

Il “Terzo libro” e altre cose

“Questa mia scelta di versi è quasi per intero tratta dal Terzo libro del ‘Passaggio d’Enea’. Vuol essere la ricostituzione d’un libro – il mio terzo libro, appunto – che già incorporato nel folto ‘Passaggio d’Enea’, mancò tuttavia d’uscire al netto nella sua propria e precisa fisionomia, e che isolato e riorganizzato nella sua intima struttura, e infine tutto in sé concluso, mi piace oggi riconsiderare, con sufficiente distacco, come indicativo a me stesso della direzione – credo rimasta determinante – della mia ricerca negli anni che pressappoco corrono, piccole appendici e digressioni a parte, dal ’44 al ’54”.

Con questa spiegazione Caproni accompagnava l’edizione einaudiana del 1968. Quell’edizione fu in realtà l’occasione per trasformare il suo “terzo libro” in una sorta di autoantologia inserendo nel volume poesie tratte dal “Seme del piangere” (1959) e dal recente, allora, “Congedo di un viaggiatore cerimonioso” (1965), nonché alcuni testi inediti.

Dunque un’idea di recupero archeologico si era trasformata in una nuova raccolta organica che voleva rappresentare la continuità della poesia di Caproni nel tempo, nonostante modalità stilistiche diverse fossero giunte a maturazione.

Giorgio Caproni

Affermato poeta, traduttore insegnante e critico italiano, Giorgio Caproni nasce a Livorno il 7 Gennaio 1912 da una famiglia piuttosto agiata. Terminate le scuole medie, s’iscrive all’Istituto musicale “G. Verdi”, dove studia violino, attratto dall’armonia e dal fascino della musica, che però hanno vita breve nel cuore dell’autore.

A diciotto anni, infatti, Giorgio Caproni rinuncia definitivamente all’ambizione di diventare musicista e s’iscrive al Magistero di Torino. Anche questa strada ha vita breve: il giovane abbandona presto gli studi. Ed è proprio in questi anni che inizia a scrivere i primi versi poetici, non essendo mai del tutto soddisfatto del risultato.

È il periodo degli incontri con i nuovi poeti dell’epoca: Montale, Ungaretti, Barbaro, e delle correnti che sperimentano con le forme, lo stile, il lessico.

Dal 1939 si trasferisce a Roma. Partecipa alla Resistenza italiana e dopo la fine della guerra diviene maestro di scuola elementare; convola a nozze con la sua storica compagna Rosa Rettagliata, vera identità della Rina delle sue opere. Giorgio Caproni muore il 22 Gennaio del 1990 a Roma. Viene sepolto con la moglie Rina nel cimitero di Loco di Rovegno.

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