“Afa di luglio” (1911) di Camillo Sbarbaro, geniale poesia sull’alienzione umana

1 Luglio 2025

Scopri il significato profondo di “Afa di luglio” di Camillo Sbarbaro, una metafora dell’incompiuto umano e un’esperienza psichedelica da calura.

"Afa di luglio" (1911) di Camillo Sbarbaro, geniale poesia sull'alienzione umana

Afa di luglio di Camillo Sbarbaro è una poesia in cui il grande caldo del mese estivo diventa metafora dell’alienazione esistenziale e della resa psicologica di fronte alla fatica del vivere. Non è un semplice abbandonarsi alle passioni immaginarie che può generare la feroce calura, ma la presa di coscienza da parte dell’autore del suo sfinimento fisico e psicologico. Il mal di vivere trova forma in modo simbolico e silente.

L’afa estiva, con la sua immobilità e pesantezza, diventa un’immagine fisica e sensoriale che esprime una condizione interiore di oppressione e torpore mentale. Diventa la metafora dell’annullamento umano di fronte alle passioni e ai desideri, che sembrano inquinare l’esistere riducendo gli umani a “miseria”. Una poesia sulla fatica di esistere, sulla paralisi dell’anima, sul senso di vuoto e inutilità che può travolgere l’essere umano anche in una giornata apparentemente normale, in un prato d’estate. Afa di luglio fa parte della raccolta di poesie Resine di Camillo Sbarbaro, pubblicata per la prima volta da Caimo a Genova nel 1911.

Leggiamo questa originale poesia di Camillo Sbarbaro per coglierne il profondo significato.

Afa di luglio di Camillo Sbarbaro

Afa di luglio. Il canto che non varia
delle cicale; il ciel tutto turchino;
intorno a me, nel gran prato supino,
due fili d’erba immobili nell’aria.

Un sopor dolce, una straordinaria
calma m’allenta i muscoli. Persino
dimentico di vivere. Mi chino
coi labbri ad una bocca immaginaria…

E sento come divenute enormi
le membra. Nel torpore che lo lega,
mi pare che il mio corpo si trasformi.

Forse in macigno. Rido. Poi mi butto
bocconi. Nell’immensa afa s’annega
con me la mia miseria, il mondo, tutto.

L’afa come metafora dell’incompiuto umano

Afa di luglio è una poesia di Camillo Sbarbaro che rappresenta una metafora dell’alienazione esistenziale e della resa psicologica degli umani di fronte alla fatica del vivere. I versi del poeta di Santa Margherita Ligure sembrano mettere in scena un’esperienza psicadelica indotta dalla calura estiva.

l’afa estiva diventa simbolo del senso di incompiutezza, immobilità e sospensione tipico della condizione umana. L’afa descritta nei versi genera immobilità, torpore, dilatazione del tempo e delle percezioni.
È una dimensione in cui nulla accade veramente, tutto rimane sospeso, come se la vita fosse congelata in una eterna attesa di qualcosa che non arriverà mai. L’uomo, proprio come “i fili d’erba immobili”, rimane bloccato in una dimensione incompiuta, incapace di evolversi o di liberarsi.

L’afa come stato di sospensione esistenziale

Già dall’inizio della poesia Sbarbaro entra in una sorta di trance ipnotica naturale. La monotonia sonora del canto delle cicale, la luce violenta del cielo turchino, la totale immobilità della natura, tutto concorre a creare un ambiente che potremmo definire sensorialmente dilatato, quasi surreale.

La descrizione che offre il poeta è statica e monotona. Il canto delle cicale, ripetitivo e ossessivo, e il cielo turchino senza nuvole accentuano l’immobilità. L’immagine dei due fili d’erba immobili rappresenta quasi una natura in apnea, bloccata sotto il peso dell’afa estiva. Il poeta si ritrova disteso (supino) in un grande prato, in uno stato di abbandono fisico e psicologico.

L’afa estiva, con la sua immobilità e pesantezza, diventa un’immagine fisica e sensoriale che esprime una condizione interiore di oppressione e torpore mentale. Camillo Sbarbaro  descrive una situazione in cui il caldo non è solo un fenomeno atmosferico, ma una presenza che schiaccia i sensi e annulla la volontà, proprio come fanno la depressione o la stanchezza esistenziale.

Il desiderio che resta immaginario

Nel torpore fisico, il poeta arriva a dimenticare di vivere. Si tratta di una perdita di coscienza del sé, come se l’identità si stesse dissolvendo nella natura e nel nulla. L’immagine della “bocca immaginaria” allude a un desiderio di amore, di contatto, di vitalità, ma è un desiderio senza oggetto reale, un sogno che non si realizza. Anzi, finisce per rivelarsi come un’occasione persa, in cui tutto sembra dissolversi in niente, lasciando in uno stato di profondo malessere esistenziale.

Sbarbaro descrive una percezione alterata del proprio corpo, che sembra ingigantirsi, perdere contorni, diventare materia indistinta. Il corpo si trasforma, donandoci un’immagine psicadelica, in cui il poeta avverte quasi una metamorfosi fisica, una fuga dall’identità umana.

La risata nervosa e la resa finale

Il poeta si immagina trasformato in pietra, inerte e privo di volontà, simbolo di inazione e inerzia esistenziale. Il riso che cita è amaro. Un gesto quasi nervoso, una risata senza gioia, segno di autoironia o disperazione.

Un riso che ha il sapore della consapevolezza tragica. Il poeta sente la propria condizione di incompiuto, di sospeso, di bloccato, e la ride con amaro sarcasmo, come chi prende coscienza della propria impotenza ma non può farci nulla.

Il gesto finale di gettarsi a terra bocconi, svela una sorta di affondamento simbolico nell’afa, in cui lui, la sua miseria e il mondo intero si dissolvono, annullando ogni differenza tra il sé e tutto ciò che lo circonda.

Nell’immensa afa s’annega con me la mia miseria, il mondo, tutto.

In queste parole c’è latto di dissoluzione finale: non solo lui, ma l’intero mondo sembra annegare nell’afa, in un annullamento globale dove ogni cosa perde contorno, senso, significato. La chiusura della poesia è un atto di resa totale, un affondare simbolico, come se lui e tutto il mondo potessero sparire insieme nell’afa, nel nulla.

L’incompiuto umano come destino esistenziale

I versi che Camillo Sbarbaro ci ha donato rendono evidente dal punto di vista filosofico l’eterna sospensione tra essere e diventare, tra desiderio e realtà, tra vita e inerzia. Verso dopo verso si percepisce un’esperienza di alterazione della coscienza stimolata dal caldo estivo e che coinvolge il corpo, la mente. L’anima si frammenta sotto il peso dell’esistere.

Chi legge vive in prima persona questa dissoluzione dei confini, come in una visione distorta, sfocata, amplificata e allucinata del reale. La grande genialità di questa poesia è che non è un semplice quadretto estivo, ma una potente esperienza di alterazione della coscienza, un viaggio ai confini della percezione, dove corpo, mente e mondo si sciolgono insieme nell’afa di luglio.

Chi è Camillo Sbarbaro

Camillo Sbarbaro è nato il 12 gennaio 1888 e scomparso il 31 ottobre 1967. La sua voce è inconfondibile all’interno del panorama poetico del Novecento.

Ligure come Eugenio Montale, nonché suo carissimo amico (tanto che Montale gli dedicò una sezione della sua raccolta Ossi di seppia), Camillo Sbarbaro si distingue per essere un ”poeta delle piccole cose”.

La sua poesia è un inno alle esperienze quotidiane, alle piccole gioie della vita, agli istanti fugaci delle giornate. Questa “predilezione per le esistenze in sordina” ,nelle sue parole, traspare anche dal profondo amore per le forme nascoste della natura. L’autore di “Afa di luglio”, infatti, oltre che essere straordinario poeta è stato anche uno dei più grandi esperti di licheni al mondo.

Le raccolte di poesie composte da Camillo Sbarbaro portano tutte dei nomi che testimoniano l’attrazione dell’autore per gli aspetti delicati della natura, umana e vegetale: Resine (1911), cui appartiene “Afa di luglio”, Pianissimo (1914), Rimanenze (1955), Primizie (1958).

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