Composta nell’Aprile del 1828, A Silvia è una delle poesie più celebri del poeta marchigiano contenuta nei “Canti“. Particolarmente struggente, il componimento affronta il tema del ricordo di una vita ormai spenta e senza speranza. L’amore nei confronti della ragazza è espresso malinconicamente, viaggiando nella memoria e non più nell’immaginazione, come invece era tipico fare Leopardi.
A Silvia
Silvia, rimembri ancora
Quel tempo della tua vita mortale,
Quando beltà splendea
Negli occhi tuoi ridenti e fuggitivi,
E tu, lieta e pensosa, il limitare
Di gioventù salivi?
Sonavan le quiete
Stanze, e le vie dintorno,
Al tuo perpetuo canto,
Allor che all’opre femminili intenta
Sedevi, assai contenta
Di quel vago avvenir che in mente avevi.
Era il maggio odoroso: e tu solevi
Così menare il giorno.
Io gli studi leggiadri
Talor lasciando e le sudate carte,
Ove il tempo mio primo
E di me si spendea la miglior parte,
D’in su i veroni del paterno ostello
Porgea gli orecchi al suon della tua voce,
Ed alla man veloce
Che percorrea la faticosa tela.
Mirava il ciel sereno,
Le vie dorate e gli orti,
E quinci il mar da lungi, e quindi il monte.
Lingua mortal non dice
Quel ch’io sentiva in seno.
Che pensieri soavi,
Che speranze, che cori, o Silvia mia!
Quale allor ci apparia
La vita umana e il fato!
Quando sovviemmi di cotanta speme,
Un affetto mi preme
Acerbo e sconsolato,
E tornami a doler di mia sventura.
O natura, o natura,
Perchè non rendi poi
Quel che prometti allor? perchè di tanto
Inganni i figli tuoi?
Tu pria che l’erbe inaridisse il verno,
Da chiuso morbo combattuta e vinta,
Perivi, o tenerella. E non vedevi
Il fior degli anni tuoi;
Non ti molceva il core
La dolce lode or delle negre chiome,
Or degli sguardi innamorati e schivi;
Nè teco le compagne ai dì festivi
Ragionavan d’amore.
Anche peria fra poco
La speranza mia dolce: agli anni miei
Anche negaro i fati
La giovanezza. Ahi come,
Come passata sei,
Cara compagna dell’età mia nova,
Mia lacrimata speme!
Questo è quel mondo? questi
I diletti, l’amor, l’opre, gli eventi
Onde cotanto ragionammo insieme?
Questa la sorte dell’umane genti?
All’apparir del vero
Tu, misera, cadesti: e con la mano
La fredda morte ed una tomba ignuda
Mostravi di lontano.
La figura di Silvia per Leopardi
Silvia è ispirata ad una ragazza realmente conosciuta da Giacomo Leopardi, molti critici la identificano con la giovane Teresa Fattorini, figlia del cocchiere di casa Leopardi, morta di tisi nel 1818. Un innamoramento non ricambiato che ha dato vita ad una poetica struggente e profonda. La morte precoce, poi, ha conferito maggiore drammaticità alla già radicata sofferenza del poeta. Silvia diventerà, in Leopardi, l’immagine simbolo della malinconia e dell’amore perduto. A Silvia è una sorta di confessione del poeta che dialoga con l’amata, la cui morte è diventata simbolo delle sue speranze vanificate dalla terribile verità della condizione umana. Leopardi qui idealizza la giovinezza, unico momento della vita dove esistono ancora speranze.

“L’infinito” di Giacomo Leopardi ci spinge ad andare oltre i confini
Fra i testi più belli che siano mai stati scritti, L’infinito di Leopardi racconta quella sensazione straordinaria di perdersi nel mare dell’immaginazione
La speranza e la disillusione
Entrambi i protagonisti della poesia sono vittime della speranza che inesorabilmente si frantuma davanti alla disillusione della vita. Silvia è morta giovane e non ha potuto godere della giovinezza, le speranze per lei sono finite nel momento in cui la sua malattia è diventata più forte. Lo stesso però vale per Leopardi che, seppur sopravvissuto all’età della giovinezza, ha sperimentato l’inutile e continua delusione della vita che ci porta ad un destino unico per tutti e senza soddisfazioni. La vita porta al dolore, ci si illude che il passare dei giorni possa portare ad una qualsiasi felicità, ma la speranza si vanifica di volta in volta.