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A chi esita (1933) di Bertolt Brecht, una poesia sul valore di saper scegliere

Scopri tutta l'attualità di "A chi esita" di Bertolt Brecht che invita chi dubita a trovare in sé la forza per continuare e a saper trovare da soli le risposte.

A chi esita di Bertolt Brecht è una poesia di grande impatto emotivo perché tocca il tema della sconfitta, dell’incapacità a reagire di fronte alle difficoltà che la vita pone. Il poema è si rivolge a chi vacilla, si interroga, a chi teme di aver lottato invano, a chi ha perso qualsiasi illusione che le cose possono, o meglio devono andare nella direzione desiderata.

La poesia di Bertolt Brecht è molto più di una poesia: è un grido lucido, spietato e necessario rivolto a chi, in tempi oscuri, si trova a dubitare, a chiedersi se continuare a lottare abbia ancora senso. Bertolt Brecht la scrive per chi ha creduto in un ideale, per chi si sente stanco, confuso, sopraffatto dal peso del presente. E, ancora oggi, questo testo conserva una forza dirompente, capace di parlare a chiunque si interroghi sul proprio ruolo nel mondo.

A chi esita fu scritta nel 1933 ed è la prima poesia della quarta sezione della raccolta Svendborger Gedichte (Poesie di Svendborg) di Bertolt Brecht pubblicata per la prima volta in Danimarca nel 1939.

Leggiamo questa intensa poesia di Bertolt Brecht per coglierne il profondo significato.

A chi esita di Bertolt Brecht

Dici:
per noi va male. Il buio
cresce. Le forze scemano.
Dopo che si è lavorato tanti anni
noi siamo ora in una condizione piú difficile di quando si era appena cominciato.

E il nemico ci sta innanzi piú potente che mai.
Sembra gli siano cresciute le forze. Ha preso una apparenza invincibile.
E noi abbiamo commesso degli errori, non si può negarlo.
Siamo sempre di meno. Le nostre
parole d’ordine sono confuse. Una parte delle nostre parole
le ha stravolte il nemico fino a renderle irriconoscibili.

Che cosa è errato ora, falso, di quel che abbiamo detto?
Qualcosa o tutto? Su chi
contiamo ancora? Siamo dei sopravvissuti, respinti
via dalla viva corrente? Resteremo indietro, senza
comprendere piú nessuno e da nessuno compresi?

O dovremo contare sulla buona sorte?

Questo chiedi. Non aspettarti
nessuna risposta oltre la tua.

 

An den Schwankenden, Bertolt Brecht

Du sagst:
Es steht schlecht um unsere Sache.
Die Finsternis nimmt zu. Die Kräfte nehmen ab.
Jetzt, nachdem wir so viele Jahre gearbeitet haben
Sind wir in schwierigerer Lage als am Anfang.

Der Feind aber steht stärker da denn jemals.
Seine Kräfte scheinen gewachsen. Er hat einunbesiegliches Aussehen angenommen.
Wir aber haben Fehler gemacht, es ist nicht mehr zu leugnen.
Unsere Zahl schwindet hin.
Unsere Parolen sind in Unordnung. Einen Teil unserer Wörter
Hat der Feind verdreht bis zur Unkenntlichkeit.

Was ist Jetzt falsch von dem, was wir gesagt haben
Einiges oder alles?
Auf wen rechnen wir noch? Sind wir Übriggebliebene, herausgeschleudert
Aus dem lebendigen Fluß? Werden wir zurückbleiben
Keinen mehr verstehend und von keinem verstanden?

Müssen wir Glück haben?

So fragst du. Erwarte
Keine andere Antwort, als die deine!

L’inno di Bertolt Brecht alla consapevolezza delle proprie azioni 

A chi esita di Bertolt Brecht è una poesia che si riferisce a chi non mostra il coraggio di prendersi la responsabilità delle proprie azioni. Non a chi ha tradito, non a chi ha ceduto, ma a chi è rimasto, pur nel dubbio. È un testo dedicato a chi ancora cerca un senso, a chi vuole capire se ha sbagliato tutto o se vale ancora la pena continuare a credere. In questo senso, è una poesia di rigore morale e profonda fiducia: il senso non è dato, ma si costruisce nella scelta.

Un testo molto attuale che sembra rappresentare la confusione di molte persone del nostro tempo. Siamo nell’era della crisi costante sociale, politica, economica, ambientale, di parole svuotate e manipolate, Brecht ci ricorda che la speranza vera non è cieca, ma critica. Non è affidarsi al caso (“dovremo contare sulla buona sorte?”), ma ritrovare in sé la forza di continuare a pensare, a parlare, a scegliere.

La disillusione che crea la sconfitta

La poesia si apre con un’amara constatazione: “Dici: per noi va male. Il buio cresce. Le forze scemano.” È il momento della disillusione. L’ideale sembra lontano, travolto da un nemico che appare più forte che mai. Ma Brecht non si limita a fotografare la disfatta: rivolge una domanda scomoda e radicale all’ideale interlocutore, a chi è rimasto, a chi ancora si interroga.

Il “buio” che cresce simboleggia l’incertezza e la perdita di speranza. Il contesto è quello dell’affermazione del Nazismo in Germania e della relativa fuga dal Paese di coloro che avevano idee diverse e contrarie al nuovo regime che si affermava nel Paese.

L’esilio che motiva la riflessione

Il 28 febbraio 1933, il giorno successivo al rogo del Reichstag, Bertolt Brecht, insieme con la moglie, il figlio Stefan e alcuni amici, abbandonò Berlino. Al momento dell’avvento al potere di Hitler, Brecht si trovava ricoverato all’ospedale e, senza neanche passare da casa sua, fece le valigie e fuggì prima a Praga e successivamente a Vienna, Zurigo, e Parigi, L’amica Karin Michaëlis invitò Helene Weigel, moglie di Brecht a trasferirsi a Skovsbostrand presso Svendborg in Danimarca dove rimase per cinque anni. Nel maggio del 1933 dello stesso anno i suoi libri vennero messi al rogo in Germania.

Le parole del peta tedesco prendono immediatamente senso, soprattutto rivolte ai compagni di lotta politica e agli altri gruppi parlamentari democratici, che non furono in grado di smuovere il cuore della gente per evitare l’affermarsi di Hitler.

Il nemico ha vinto per l’incapacità di avere risposte adeguate

Il poeta continua la poesia affermando che “dopo che si è lavorato tanti anni noi siamo ora in una condizione più difficile di quando si era appena cominciato.” Nonostante gli sforzi prolungati, la situazione attuale appare peggiore rispetto all’inizio. Questo sottolinea la frustrazione di chi vede vanificati i propri sforzi e mette in discussione il senso della lotta intrapresa.

Il “nemico” appare rafforzato, quasi invincibile. Questa percezione accentua il senso di impotenza e la tentazione di arrendersi. “E noi abbiamo commesso degli errori, non si può negarlo.” Il riconoscimento degli errori commessi è un atto di onestà intellettuale. Ammettere le proprie colpe è il primo passo per una riflessione critica e costruttiva.

La diminuzione dei sostenitori e la confusione nelle idee indicano una crisi interna al movimento. Il fatto che il nemico abbia distorto le parole d’ordine sottolinea la perdita di controllo sulla narrazione e sull’identità del gruppo.

“Che cosa è errato ora, falso, di quel che abbiamo detto? Qualcosa o tutto? Su chi contiamo ancora?” Queste domande esprimono un profondo senso di smarrimento. Si mette in discussione la validità delle idee sostenute e si cerca di capire su chi si possa ancora fare affidamento.

“Siamo dei sopravvissuti, respinti via dalla viva corrente? Resteremo indietro, senza comprendere più nessuno e da nessuno compresi?” Il poeta si interroga sul rischio di diventare irrilevanti, di essere esclusi dal flusso della storia e incomprensibili agli altri. È il timore di essere superati dai tempi e di perdere il contatto con la realtà.

“O dovremo contare sulla buona sorte?” La domanda retorica evidenzia l’ironia di affidarsi al caso dopo anni di impegno e lotta. È una critica all’idea di abbandonare la responsabilità personale in favore del destino

Le risposte non arriveranno mai dagli altri

Nel testo si parla di errori, di parole travisate dal nemico, di compagni perduti. Ma il fulcro arriva alla fine, nella chiusa che è come una scossa:

Questo chiedi. Non aspettarti
nessuna risposta oltre la tua.

Qui sta tutto il senso della poesia: non attendere salvezze esterne, non aspettarti verità calate dall’alto. La risposta, se esiste, sei tu. La tua coscienza, la tua azione, la tua decisione di non mollare. La conclusione è un invito all’autonomia: le risposte non verranno dall’esterno, ma devono essere cercate dentro di sé. È un’esortazione a non esitare, a prendere decisioni consapevoli anche nei momenti più difficili.

Il coraggio di reagire alla crisi e non cercare scuse inutili

A chi esita è una poesia che affronta temi universali come la disillusione, il dubbio, la manipolazione del linguaggio e la responsabilità individuale. Brecht ci ricorda che, anche nei momenti più bui, è fondamentale non abbandonare la propria capacità di giudizio e di azione. La poesia invita a riflettere profondamente e a trovare dentro di sé la forza per continuare a lottare per ciò in cui si crede.

Se negli anni ’30 il testo della poesia poteva suonare come un appello alla coscienza politica, oggi possiamo leggerla anche come una chiamata alla lucidità interiore. Esitare è umano, ma restare fermi nell’esitazione è disumano.

Una delle trappole più insidiose dell’oggi è il disincanto: “tanto non serve a nulla”, “sono tutti uguali”, “è troppo tardi”. Bertolt Brecht, con la forza sobria della sua poesia, smonta questa rassegnazione borghese, e  restituisce un principio etico fondamentale: anche nel buio, bisogna continuare a scegliere. Nessun o può scegliere al posto nostro, questo è il chiaro messaggio della poesia. Qualsiasi scusa è solo sintomo della debolezza umana. In queste parole c’è la radicale modernità di Bertolt Brecht: non c’è sempre bisogno di avere un leader da seguire, nessun dogma da obbedire. C’è solo la tua coscienza, che devi educare al pensiero critico.

Applicata al nostro tempo, A chi esita è una poesia rivoluzionaria nel senso più profondo e silenzioso. Non chiama alla militanza ideologica, ma a una forma di resistenza mentale e culturale. Oggi, chi esita è chi si interroga sull’impatto delle proprie scelte (ambientali, sociali, lavorative; rifiuta le narrazioni tossiche e divisive dei social; prova a distinguere la verità dalle menzogne della propaganda; cerca ancora giustizia in un mondo che la scambia per “ingenuità”.

Ecco perché le poesie sono importanti, perché offrono risposte alla vita altrimenti difficili da trovare.

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