Vibe Coding, il significato della parola dell’anno secondo il Collins Dictionary

14 Novembre 2025

La scelta di questo termine rappresenta “il modo in cui la tecnologia AI sta ridefinendo la creatività e la produttività". Ma cosa significa Vibe Coding? Qual è la sua origine e quali sono le sue implicazioni? Scoprilo in questo articolo.

Vibe Coding, il significato della parola dell'anno secondo il Collins Dictionary

La parola dell’anno, per il Collins Dictionary, è “Vibe Coding” (o “Vibecoding”). In tempo di intelligenza artificiale non stupisce che la scelta sia ricaduta su questo termine. Nella sua decisione, il Collins Dictionary ha monitorato il Collins Corpus che, composto da 24 miliardi di parole, attinge a piattaforme social e fonti mediatiche. La scelta di questo termine rappresenta “il modo in cui la tecnologia AI sta ridefinendo la creatività e la produttività, rendendo accessibili a molti strumenti che prima richiedevano competenze altamente specializzate” secondo lo stesso Collins Dictionary.

Ma cosa significa Vibe Coding? “Qual è la sua origine e quali sono le sue implicazioni, tra rischi ed opportunità? Scopriamolo di seguito.

Cos’è il Vibe Coding

Il termine “Vibe Coding”, introdotto da Andrej Karpathy (ex direttore dell’AI di Tesla e co-fondatore di OpenAI) nel febbraio 2025, ha un significato molto preciso nel campo dello sviluppo software e dell’Intelligenza Artificiale. Il termine definisce un approccio radicalmente nuovo allo sviluppo software reso possibile dai progressi nei Large Language Models (LLM) come ChatGPT, Gemini o GitHub Copilot.

Il termine è un ibrido linguistico, formato da “Vibe”, parola che deriva dall’inglese vibration, e indica l’atmosfera, la sensazione o l’energia emotiva trasmessa da una persona o da un luogo, e da “Coding”, che letteralmente significa “codifica”, ed implica il processo deliberato e tecnico di trasformare un’idea in un segnale o un linguaggio comprensibile.

La filosofia alla base del Vibe Coding è la seguente: “Lasciarsi completamente andare alle vibrazioni, abbracciare le potenzialità e dimenticare che il codice esista”. In sostanza, non è più il programmatore a scrivere meticolosamente ogni riga di codice, ma è l’Intelligenza Artificiale a generarlo autonomamente, partendo da istruzioni fornite dall’utente in linguaggio naturale (prompt).

Il cuore del Vibe Coding risiede nel delegare all’AI la fatica della sintassi, del debugging di basso livello e della memorizzazione di API specifiche, permettendo allo sviluppatore di concentrarsi unicamente sull’obiettivo finale (il vibe).

Nello specifico, il vibe coding rappresenta quindi l’atto di creare un sito web o un’app fornendo un prompt testuale all’IA, che a sua volta produce un codice di programmazione. Il Vibe Coding consente, potenzialmente, a chiunque di dare vita a un sito o un’applicazione.

Una nuova filosofia di programmazione

Siamo dinanzi ad una rivoluzione nel campo della programmazione: mentre la programmazione tradizionale è how-driven (guidata dal “come” fare le cose, riga per riga), il Vibe Coding è outcome-driven (guidato dal “cosa” fare, dall’obiettivo).

L’utente (che può essere un programmatore esperto o un neofita) descrive il risultato desiderato in un linguaggio colloquiale, ad esempio: “Crea un’applicazione web con un form di login utente e un database semplice per archiviare le ricette”. Di conseguenza l’AI, sfruttando la sua conoscenza del codice, genera l’intera architettura o la singola funzione richiesta.

I potenziali rischi

Nonostante il potenziale, la pratica solleva preoccupazioni significative, portando alcuni esperti a parlare di “Vibe Coding Hangover”, relativi alla qualità e manutenibilità del codice, alla sicurezza (specialmente in progetti con dati sensibili) e alla mancanza di comprensione dei sistemi esistenti.

La macchina che si autoprogramma

Uno dei primi saggi – a livello internazionale – ad approfondire il tema del “vibe coding” e dei suoi potenziali rischi è il libro “La macchina che si autoprogramma – In quali mani finirà l’innovazione?” (Egea, 2025), opera in cui l’informatico Francesco Maria De Collibus accompagna il lettore dentro questa rivoluzione silenziosa, in cui l’intelligenza artificiale non si limita più a supportare il lavoro umano, ma inizia a sostituirlo nella creazione stessa della tecnologia.

Il suo è un viaggio che parte dai fondamenti dell’informatica — da Alan Turing e Alonzo Church fino ai più recenti modelli di AI generativa — e arriva alla Silicon Valley di oggi, dove le macchine “assistono” gli sviluppatori e presto potrebbero sostituirne molti. Ma il punto non è la paura del cambiamento: è capire in quali mani finirà l’innovazione quando la capacità di creare software diventa accessibile a tutti, ma la conoscenza profonda della tecnologia resta nelle mani di pochi.

Il libro si muove tra storia, economia e antropologia del digitale, con un linguaggio chiaro e narrativo, capace di coniugare divulgazione e pensiero critico. Dalla figura del programmatore-mago al confronto con l’artista e l’artigiano, “La macchina che si autoprogramma” racconta come la tecnica stia ridefinendo la nostra idea di creatività: scrivere codice diventa un atto sempre più simile al comporre musica o al dirigere un’orchestra.

Il Vibe Coding rappresenta, quindi, un cambiamento di paradigma che trasforma il programmatore da scrittore manuale di codice a direttore che orchestra l’AI. Sebbene sia rivoluzionario per la velocità e l’accessibilità, richiede una supervisione esperta per garantire che il codice generato sia sicuro, robusto e sostenibile per applicazioni commerciali complesse.

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