Saper utilizzare correttamente i verbi intransitivi, distinguendoli dai verbi transitivi, è indispensabile per un corretto uso della lingua italiana e della sua sintassi. Riconoscere quando un verbo necessita di un complemento diretto per completare il senso di una frase, oppure se è autonomo o supportato da complementi di termine e luogo, favorisce la comunicazione, scritta e parlata.
Il dibattito
La gestione e il corretto uso dei verbi intransitivi e transitivi è spesso stato oggetto di dibattito e confronto, con relative false interpretazioni, come nel caso della diatriba legata all’uso delle espressioni “esci la sedia” o “scendi il cane”. Dopo le spiegazioni dell’ex presidente dell’Accademia della Crusca Claudio Marazzini, il quale ha sottolineato come gli accademici non abbiano mai affermato che l’utilizzo di espressioni come “scendi il cane” sia corretto, proprio attraverso la consulenza dell’Accademia della Crusca vogliamo analizzare se e quando è corretto l’uso di alcuni verbi intransitivi come uscire, entrare, salire, scendere in forma transitiva.
Definizione e uso dei verbi transitivi
I verbi transitivi sono proprio i verbi la cui azione transita dal verbo al complemento oggetto, che può essere costituito da un oggetto o da una persona. Per riconoscerli, basta verificare se dopo il loro utilizzo è possibile rispondere alle domande “Chi?/Che cosa?”, verificando quindi se l’azione espressa da quel verbo coinvolge o meno un complemento oggetto. Un’altro modo per riconoscere i verbi transitivi consiste nel verificare se è possibile trasformare quella frase dalla forma attiva alla forma passiva.
Definizione e uso dei verbi intransitivi
Rientrano tra i verbi intransitivi tutti quei verbi che non hanno bisogno di un oggetto, perché esprimono un modo di essere del soggetto: l’azione quindi non transita, ma resta sul soggetto stesso. Di conseguenza, questo gruppo di verbi non risponde alle domande “Chi?/Che cosa?” ed è sempre seguito da complementi indiretti.
Esempi: Ho dormito tutta la notte; Luca ha rinunciato al nuovo posto di lavoro; I bambini corrono al parco.
Transitivi o intransitivi? I casi che creano dibattito
Matilde Paoli, della redazione Consulenza linguistica della Crusca, affronta la questione sul corretto uso dei verbi transitivi. Si nota come esista un quartetto di verbi di movimento, costituito da due coppie di opposti, uscire/entrare e salire/scendere con il significato di “far uscire/entrare, portar fuori o dentro”, “far salire/scendere, portar su o giù”.
I membri della seconda coppia, nel significato di “percorrere in salita” e “percorrere verso il basso” hanno anche un uso transitivo: si possono salire le scale o il versante di una collina e scendere i gradini o un pendio. L’uso transitivo dei verbi in questione è registrato in alcuni dizionari di lingua: il ZINGARELLI 2016 registra come meridionalismi scendere e uscire, ma non entrare e salire, naturalmente nei sensi che qui si trattano. Il Vocabolario Treccani online fa la stessa cosa, ma glossa scendere e uscire genericamente come regionalismi.
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I vantaggi “economici”
L’interesse per questo fenomeno si configura quindi come una contrapposizione tra nord e sud. Secondo i lessicografi contemporanei, per quanto di impiego tanto rilevante da essere registrato, nessuno di questi usi viene “promosso” al livello della lingua comune.
L’uso di questi verbi in forma transitiva sarebbe “economicamente vantaggioso”, visto che in italiano comune e colloquiale le frasi equivalenti sono tirare la carne o il burro fuori dal frigo o la lingua dalla bocca, metter fuori la zampa dalla gabbia, portar fuori il cane e dentro i cuscini, portare o tirare su il pacco e giù le valigie.
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Le conclusioni
Nella conclusione, Matilde Paoli chiarisce cosa impedisce al fenomeno di essere accolto nell’italiano comune. Secondo la redattrice, il verbo “uscire” è l’oggetto della diffusione virale in rete, probabilmente perché se ne avverte, in questo accomunato al suo opposto, il grado maggiore di contravvenzione alla norma.
Inoltre, entrare e uscire trovano più resistenza a essere accolti nella lessicografia rispetto a scendere, attestato invece in tutti i dizionari considerati e, con salire, considerato anche popolare, ossia slegato dalla dimensione territoriale. Questi due ultimi verbi ammettono anche in lingua la possibilità di un uso transitivo e quindi, mentre uscire ed entrare prevedono tassativamente l’ausiliare essere, richiedono l’ausiliare avere: sono salito da te e sono sceso all’alba, ma anche ho salito la gradinata e ho sceso le scale. Salire e scendere in sostanza avrebbero già in lingua pronto il costrutto in cui accogliere l’eventuale passaggio successivo; uscire ed entrare no.
In conclusione, dall’Accademia della Crusca sottolineano come l’uso del verbo uscire non vada usato in modo transitivo a livello di lingua. Conclude Matilde Paoli con un consiglio: “proponiamo però, al solo prezzo dell’uso di una preposizione, di cominciare a uscire con il cane: dopo tutto è un amico.”