Il corretto uso dell’apostrofo nella lingua italiana

27 Novembre 2024

La lingua italiana è ricca di parole e di caratteri che ci aiutano nel linguaggio scritto e parlato. Scopriamo quali sono le regole e le eventuali eccezioni legate all'uso corretto dell'apostrofo.

Il corretto uso dell'apostrofo nella lingua italiana

Spesso possono sorgere dei dubbi grammaticali legati alla lingua italiana, che ci possono portare a commettere, nel linguaggio scritto o parlato, degli errori che possono sembrare banali. Scopriamo quali sono le regole e le eventuali eccezioni legate all’uso corretto dell’apostrofo.

Cos’è l’apostrofo

L’apostrofo è un carattere tipografico usato nelle lingue scritte in alfabeto latino, spesso annoverato tra i segni d’interpunzione anche se sarebbe più appropriato definirlo un segno paragrafematico e talvolta un segno diacritico. Di questo carattere esistono due varianti: l’apostrofo tipografico o curvo ( ’ ) e l’apostrofo dattilografico o diritto ( ‘ ).

Nella lingua italiana, secondo quanto indicato dall’Oxford Languages, l’uso dell’apostrofo avviene per indicare:

  • l’elisione di una vocale finale ( l’arte invece di la arte );
  • l’aferesi di una vocale iniziale seguita da consonante ( padron ‘Ntoni per Antoni );
  • l’abbreviazione dei millesimi degli anni (il ’48, il ’68 invece di 1848, 1968 );
  • il troncamento dei dittonghi discendenti ( da’ per dai, de’ per dei );
  • il troncamento di un’intera sillaba che lasci la parola con finale vocalica ( be’ per bene, po’ per poco ).

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In quali casi si utilizza l’apostrofo

In italiano l’apostrofo si utilizza quando si presenta il fenomeno dell’elisione. L’elisione consiste nella caduta della vocale non accentata di una parola di fronte alla vocale iniziale di un’altra parola.

Quando si apostrofa una parola? La regola base è semplice: l’apostrofo si usa solo se la parola successiva è di genere femminile. In questo caso la vocale finale cade per elisione davanti alla vocale successiva. Invece, se la parola che segue l’articolo “un” è maschile, non si usa l’apostrofo.

Come ogni regola che si rispetti, esistono anche qui alcuni casi per cui occorre prestare attenzione, come nel caso della parola “eco”: nonostante il suo plurale sia maschile e termini con la parola -o, “eco” è un sostantivo femminile.

Per questo, si scrive “un’eco” e non “un eco”. A cosa è dovuta quest’anomalia? Ce lo spiega l’Enciclopedia Treccani:

La particolarità di questo nome è dovuta alla sua etimologia, legata alla mitologia classica. Giove ricorreva alla ninfa Eco, abile conversatrice, per distrarre la moglie Era durante i suoi tradimenti. Per questo, secondo il mito, Era punì la ninfa Eco togliendole la parola e condannandola a ripetere solo l’ultima parte di ogni discorso.

L’uso dell’elisione

Come ben spiega la Zanichelli, l’elisione è obbligatoria con:

  • gli articoli determinativi lo, la e le preposizioni articolate formate con essi: l’animale, l’acqua, dell’uomo, dall’opera;
  • l’articolo indeterminativo una: un’amica, un’impresa, un’epoca;
  • gli aggettivi bello e quello: un bell’albero, quell’immagine; l’elisione in questo caso è possibile ma non obbligatoria con i femminili bella e quella;
  • santo e santa: sant’Anna, sant’Anselmo.

L’elisione è prevalente ma non obbligatoria con:

→ la preposizione di, specialmente davanti a una parola che comincia con la i: d’accordo, d’argento, d’improvviso, d’invitare;

→ i pronomi personali atoni lo, la, mi, ti, si, vi, ne: l’incontrai o lo incontrai, l’ospitò o la ospitò, m’avvisò o mi avvisò, ecc.;

→ l’aggettivo questo: quest’anno, quest’ultimo;

→ l’avverbio e congiunzione come seguito dal verbo essere: com’è grande!, com’era bello.

L’elisione non si produce mai:

→ con i pronomi atoni le, li in funzione di complemento oggetto: le ammiravo, li incontrai, e con il pronome le in funzione di complemento di termine: le affiancherò un tutore;

→ con il pronome personale atono ci (noi, a noi) seguito da vocale diversa da i: ci ama, ci osserva;

→ davanti a i semiconsonantica: di ieri, lo iodio, lo iato.

La filastrocca di Rodari

C’è una particolare filastrocca di Rodari dedicata all’uso dell’apostrofo e che racconta la storia di uno scolaro non proprio bravissimo che trasformò un lago in un ago collocandolo dove non serviva.

L’ago di Garda

C’era una volta un lago, e uno scolaro
un po’ somaro, un po’ mago,
con un piccolo apostrofo
lo trasformò in un ago.

“Oh, guarda, guarda”
la gente diceva
“l’ago di Garda!”
“Un ago importante:
è segnato perfino sull’atlante”.

“Dicono che è pescoso.
Il fatto è misterioso:
dove staranno i pesci, nella cruna?”
“E dove si specchierà la luna?”
“Sulla punta si pungerà,
si farà male…”
“Ho letto che si naviga un battello”.
“Sarà piuttosto un ditale”.

Da tante critiche punto sul vivo
il mago distratto cancellò l’errore,
ma lo fece con tanta furia
che, per colmo d’ingiuria,
si rovesciò l’inchiostro
formando un lago nero e senza apostrofo.

Scopri con questo quiz linguistico se hai capito bene l’uso corretto dell’apostrofo

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