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Si scrive “se stesso” o “sé stesso”? L’errore da evitare

Qual è la corretta forma grafica: se stesso o sé stesso? Analizziamo brevemente gli usi delle due forme anche attraverso precedenti illustri

Se Stesso  osé stesso? Abbiamo qui a che fare con uno dei dilemmi più comuni, riguardanti la scelta tra “se” e “sé”.

Si tratta di uno di quei dubbi che sorgono quando si scrive e allora si interroga chi si ha vicino per avere conferma se si scriva se stesso o sé stesso. Facciamo un po’ di chiarezza.

La differenza tra “se” e “sé”

“Sé” con accento

Come riportato su Treccani, “sé” è un pronome personale riflessivo di terza persona singolare e plurale. Si tratta di uno dei monosillabi tonici che richiedono obbligatoriamente l’accento grafico. Esso serve a facilitare la distinzione di questo elemento dal se congiunzione e da se pronome atono corrispondente a si nelle combinazioni con altri pronomi atoni (se lo / se la / se li / se le / se ne).

Da fare attenzione al tipo d’accento: “sè” con accento grave è sempre errore ortografico. La forma corretta è sempre “sé” con l’accento acuto. La confusione può derivare dalla somiglianza con altre parole italiane che usano l’accento grave, ma nel caso del pronome riflessivo tonico, solo l’accento acuto è corretto.

“Se” senza accento

Il “se” senza accento può essere utilizzato sia una congiunzione che un pronome atono. Quando viene usato come congiunzione, “se” introduce una proposizione condizionale o una domanda indiretta. Esempio: “Se non fossi stato a casa, sarei andato in centro”.

Come pronome atono, invece, “se” si riferisce a un elemento non espresso nella frase ma implicito nel contesto. Esempio: “Prese i soldi  e se li mise nel portafoglio”.

Se stesso o sé stesso? La regola

In molti pensano di conoscere la regola secondo la quale il “se” non debba essere accentato quando è accompagnato da “stesso” o “medesimo”. Invece il “sé” pronome riflessivo deve essere accentato quando usato da solo e non accompagnato da “stesso” o “medesimo”. Questa differenza sarebbe dettata dalla necessità di distinguere il “se” pronome riflessivo dalla congiunzione “se” con la quale, altrimenti, finirebbe confuso.

Come riporta sempre la Treccani, seguendo le convenzioni ortografiche tradizionali ci dicono il sé dovrebbe perdere l’accento quando è seguito da medesimo e stesso, perché tale posizione è considerata di per sé sufficiente a disambiguare la natura grammaticale del sé. L’accento sarebbe dunque inutile e ridondante, e inoltre improprio perché sé viene a trovarsi in protonia sintattica.

Alcuni dizionari invece riportano l’espressione “sé stesso” e “sé medesimo”, nella forma accentata, sulla base che il “sé” pronome sia sempre tonico nonostante sia accompagnato da “stesso” o “medesimo”, asserendo che il pronome “sé” richieda sempre l’accento.

A sostegno di entrambe le forme, possono farsi esempi sia di illustri poeti che di esperti di grammatica, da Dante a Serianni. Tuttavia, per una scelta più logica e intuitiva, la forma accentata “sé stesso” dovrebbe essere quella preferibile così da evitare equivoci ed interpretazioni errate che possono rendere la comunicazione meno efficace.

In definitiva, la scelta tra “se” e “sé” dipende dalla funzione nella frase e dalla corretta concordanza tra soggetto e pronome riflessivo.

Cosa dice l’Accademia della Crusca

Sul punto è intervenuta l’Accademia della Crusca, sostenendo che non ci sia una regola specifica in un senso o nell’altro e che è corretto dire sia sé medesimo che se medesimo.

Sebbene negli attuali testi di grammatica per le voci rafforzate se stesso, se stessa e se stessi non sia previsto l’uso dell’accento, secondo gli accademici è preferibile considerare non censurabili entrambe le scelte, mancando in realtà una regola specifica che ne possa stabilire il maggiore o minore grado di correttezza. Si raccomanda di tener conto di questa “irrilevanza” specialmente in sede di valutazione di elaborati scolastici e affini.

La Crusca ha citato in tal senso precedenti illustri come Manzoni che utilizza entrambe le forme nei suoi scritti. L’Accademia conclude invitando gli insegnanti, nella valutazione degli elaborati scolastici, a non considerare errata nessuna delle due forme.

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