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Qual è la differenza tra parole omofone e omografe?

Il giornalista ed esperto di lingua italiana Fausto Raso ci spiega la differenza tra le parole "omofone" e quelle "omografe", citando alcuni esempi ed eccezioni

La nostra lingua è ricca di parole “omofone” (stesso “suono”) e “omografe” (stessa grafia). Le parole omofone sono dette anche “omonime” perché oltre ad avere il medesimo “suono” hanno anche lo stesso nome (la “bugia”, per esempio: candeliere e menzogna). Quelle omografe, invece, hanno la medesima grafia ma il “suono”, cioè la pronuncia, non sempre uguale. Legge, “norma” e lègge, dal verbo leggere, per esempio, sono omografe ma non omofone. Le parole omofone, quindi, sono sempre omografe; queste ultime invece, non necessariamente sono anche omofone.

L’origine delle parole omofone

E quanto alle omofone (o omonime) c’è da dire che nella stragrande maggioranza dei casi provengono da due termini diversi che hanno finito con il coincidere per l’evoluzione storica del linguaggio. Vediamo, in proposito, qualche esempio: la lira, moneta, viene dal latino “libra(m), mentre la lira, strumento musicale, da “lyra(m); il miglio, la pianta, ha origine da “miliu(m), il miglio, la misura da “milia”.

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Ancora: la fiera, belva, da “fera(m), fiera, mercato, da “feria(m)”; botte, recipiente, da “butta(m)” (‘piccolo vaso’), botte, percosse, dal francese antico “boter” (percuotere). Sarà bene, pertanto, accentare le parole omonime che possono generare equivoci: balia e balía; regia e regía; ambito e ambíto; subito e subíto; ancora e àncora; decade e decàde. L’accento che si adopera in questi casi si chiama “fonico” perché fa cambiare, appunto, il “suono” alle parole che hanno il medesimo nome.

Il caso della parola “dieta”

Un accento, diceva un grande linguista, “se al posto giusto non ha mai fatto male a nessuno”. Ecco, dunque, una parola omofona e omografa ─ dieta ─ di cui il nostro lessico è ricco, ma dal significato “indipendente”.

L’accezione più nota, quella sulla bocca delle ragazze in modo particolare, è quella che recitano i vocabolari, vale a dire «regime alimentare a cui uno si sottopone per cura o per igiene; esso viene stabilito da un medico specialista il quale, tenendo presente l’attività svolta dal soggetto, il suo fabbisogno di calorie e il suo stato di salute generale, gli prescrive certe regole di vita e soprattutto la quantità e la qualità dei cibi di cui deve nutrirsi».

In questo significato il termine dieta è il latino diaeta, tratto dal greco dìaita, che propriamente significa vita, quindi modo di vivere, tenore, regola di vita confacente alla salute. L’altra accezione, quella di assemblea, è tratta dal latino dieta (senza il dittongo ae), un derivato di dies (giorno), vale a dire spazio di un giorno e, per estensione, giorno stabilito per l’adunanza.

In origine con la dieta si intendeva l’assemblea nazionale dei popoli germanici, in seguito assemblea del sacro romano impero, alla quale prendevano parte i feudatari, l’alto clero e i delegati delle città imperiali riuniti per decidere questioni importanti. Con il trascorrere del tempo il vocabolo in questione ha acquisito il significato generico di assemblea e, per estensione quello di parlamento. Se non cadiamo in errore, il Parlamento giapponese non si chiama Dieta?

 

Fausto Raso

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