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Movida a Milano, perché errare è umano ma perseverare è diabolico

Stanno facendo il giro dei social (e del mondo) le immagini degli assembramenti di ieri sera presso la Darsena di Milano. Quanto successo rievoca un celebre modo di dire

Stanno facendo il giro dei social (e del mondo) le immagini di ieri sera presso la Darsena di Milano. Nell’ultimo fine settimana in giallo per il capoluogo lombardo, la movida non si è fermata nonostante il timore per il Covid-19 e gli appelli alla prudenza del sindaco Giuseppe Sala. Musica e balli presso la Darsena con centinaia di giovani per l’ultimo weekend in zona gialla prima che scatti quella arancione. Una sorta di “rave party” che ha costretto la polizia locale a intervenire per cercare di gestire il flusso di persone che hanno approfittato del clima mite per l’ultimo aperitivo prima delle nuove restrizioni. Una “discoteca all’aperto” che ci fa venire in mente un celebre detto di origine latino:

errare humanum est, perseverare autem diabolicum

I fatti di Milano e la locuzione latina

La locuzione significa “commettere errori è umano, ma perseverare (nell’errore) è diabolico”. Ed è proprio ciò che è accaduto ieri sera a Milano: nonostante i numeri dicano che l’emergenza coronavirus sia ancora in atto, gli avvisi, gli errori commessi e le conseguenze per tante famiglie italiane, la gente continua a “perseverare” nell’errore di creare assembramenti. La frase è entrata nel linguaggio comune, ha un chiaro significato: l’errare è parte della natura umana. Questo, però, non può essere inteso come attenuante di responsabilità per una reiterazione dello sbaglio, quanto piuttosto un mezzo per imparare dall’esperienza. Cosa che, a Milano, ieri non è successa.

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L’origine del modo di dire

Il modo di dire ben interpreta lo stato d’animo di quanti hanno visto ciò che è successo ieri sera a Milano. Sostanzialmente, l’espressione si rifà (anche se non in modo letterale) a una frase di sant’Agostino, anche se esistono diversi antecedenti in latino precristiano. Quello che più si avvicina risale a Cicerone (Filippiche, XII. 5): Cuiusvis hominis est errare: nullius nisi insipientis, in errore perseverare (“è cosa comune l’errare; è solo dell’ignorante perseverare nell’errore”). Più sfumato Livio (Storie, VIII.35): Venia dignus est humanus error (“ogni errore umano merita perdono”). L’attribuzione che da più parti viene fatta di una frase simile a Seneca il vecchio (55 a.C. ca. – 40 d.C.) sembra basata su una lezione errata del testo (“Humanum est errare” invece di “per humanos errores”). La prima fonte cristiana a contenere una frase analoga è San Gerolamo (“errasse humanum est”, Epist. 57.12). In seguito, sant’Agostino d’Ippona nei suoi Sermones (164, 14) afferma: Humanum fuit errare, diabolicum est per animositatem in errore manere[3] (“cadere nell’errore è stato proprio dell’uomo, ma è diabolico insistere nell’errore per superbia”).

 

 

 

 

 

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