Prosegue il nostro viaggio alla scoperta delle origini storiche e gli aneddoti che si celano dietro le espressioni che usiamo quotidianamente durante la vita di tutti i giorni. Oggi vi spieghiamo l’origine dell’espressione “Parlare a vanvera”.
Perché si dice “Parlare a vanvera”?
L’origine del modo di dire
Uno dei modi di dire più comuni è “Parlare a vanvera” che significa parlare senza pensare, dire cose senza fondamento o senso.
Questo modo di dire era già in uso all’inizio del XVII secolo, come attestato da Francesco Serdonati, un autore toscano, nel suo libro sui proverbi. Egli spiega che “parlare a vanvera” significa parlare in modo casuale e senza considerare il significato di ciò che si sta dicendo, un modo di parlare “in aria”.
L’uso di “parlare a vanvera” risale addirittura al XVI secolo, con la sua prima attestazione attribuita a Benedetto Varchi, un letterato fiorentino, che descriveva questo modo di dire come tipicamente fiorentino. Esistono anche varianti regionali, come “a cianfera” nel pisano e “a bámbera” nel lucchese, legate al gioco di carte della bambàra.
Sulla sua provenienza si sono fatte però molte ipotesi. Alcuni studiosi, ad esempio, fanno notare che la radice di “vanvera” assomigli a quella di vano. Altri ritengono che la parola derivi dal gioco della bambàra, una locuzione, forse di origine spagnola, con la quale s’intendeva una perdita di tempo.
E se a rinforzare questa tesi c’è il fatto che in certe zone della Toscana si dica proprio “parlare a bambera”, alcune contraddizioni cronologiche e altri piccoli indizi sembrerebbero smentirla. Per questa ragione, oggi gli etimologisti sono più propensi a credere che vanvera sia una variante di fanfera, una parola di origine onomatopeica che vuol dire “cosa da nulla”: fanf-fanf, infatti, riproduce il suono di chi parla farfugliando e, appunto, senza dire niente di sensato.
Il suo utilizzo
Il verbo più comunemente associato all’espressione è “parlare”, ma può essere utilizzato anche con altri verbi come “fare”, “cicalare” o addirittura “correre”. In questo contesto, il termine “vanvera” è una parola che si presta a un uso ampio e flessibile, rendendola efficace per esprimere l’idea di fare qualcosa senza riflettere. È un termine vivace e adattabile, molto utilizzato nel linguaggio di tutti i giorni e nella letteratura, come mostrano esempi da autori come Giosuè Carducci e altri.
Dal punto di vista linguistico, la parola ha un’origine onomatopeica, legata al suono di parole come “fanfara” o “fànfano”, che evocano il rumore delle trombe militari, simbolo di qualcosa di vuoto e senza significato, come un parlare a caso, senza consistenza.
In sintesi, “parlare a vanvera” ha attraversato i secoli tra i modi di dire espressivi e coloriti, sempre utili per descrivere discorsi superficiali o azioni prive di riflessione, trovando un ampio utilizzo in varie forme dialettali e letterarie.
Perché diciamo così
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