Avete mai sentito l’espressione “Passare in cavalleria“? Si tratta di un modo di dire molto diffuso, il cui significato è conosciuto ai più, ma siamo certi che non tutti conoscono la precisa origine, seppur ne possano intuire la provenienza. Scopriamole.
Cosa significa “passare in cavalleria”
L’espressione “passare in cavalleria si usa questo modo di dire quando si vuole mettere in risalto il comportamento scorretto di una persona alla quale è stato prestato un oggetto che non viene più restituito; oppure, per estensione, il comportamento non “cavalleresco” di una persona che trascura, ma soprattutto che non mantiene gli impegni presi e concordati.
Quante volte sarà capitato di notare che un accordo preso con qualcuno non è stato rispettato e che il tutto è passato in cavalleria? Per contarle occorrerebbe una calcolatrice.
L’origine del modo di dire
Ma vediamo l’origine della locuzione che ci è stata tramandata dal gergo militare. Nei tempi passati nell’arma di cavalleria militavano, per lo più, nobili e ricchi, mentre nella fanteria prestavano servizio soldati di umili origini che nulla potevano contro i soprusi cui venivano sottoposti da parte dei “cavalieri”: ai fanti venivano sequestrati vesti, coperte, vettovaglie e tutto ciò che potesse rendere più confortevole la vita militare al “cavaliere”.
Va da sé che gli oggetti passati in cavalleria non venivano più restituiti ai legittimi proprietari. Di qui il passaggio di significato.
Altre espressioni “cavalleresche”
Dal gergo militare traggono origine altri celebri e curiosi modi di dire, come “pezzo da novanta”: l’espressione, che significa essere
una persona molto importante e influente, deriva dal siciliano pezzu ’i nuvanta in cui il “pezzo” era il cannone e “novanta” rappresentava il calibro.
Di origine militare anche il modo di dire “di punto in bianco”, usato quando si vuole mettere in evidenza un fatto accaduto all’improvviso e che deriva dal fatto che il tiro di punto in bianco era il tiro di artiglieria, con la linea di mira orizzontale, sparato ad alzo uguale a zero, cioè senza elevazione, e con il congegno di puntamento che non segnava alcun numero (era in bianco). Non dovendo richiedere particolari operazioni di calcolo preliminare della traiettoria, questo tiro poteva essere sparato all’improvviso e a distanza ravvicinata.
Altro modo di dire proveniente dal gergo militare è l’espressione “fare quadrato” che usiamo per indicare la scelta di accordarsi a protezione di qualcosa o di qualcuno: nell’arte militare, infatti, il quadrato è una formazione, assunta in combattimento dalla fanteria, in cui i soldati sono disposti in modo da costituire un quadrato, cioè con lo stesso numero di elementi su tutti e quattro i lati. Con questa formazione, che in seguito è divenuta la formazione classica per difendersi dalle cariche della cavalleria, i fanti possono coprirsi vicendevolmente le spalle e respingere gli assalti su più fronti senza dover cambiare lo schieramento.
Il libro sui modi di dire
L’espressione “Conosco i miei polli” e altri modi di dire diffusi nella nostra lingua sono protagonisti all’interno del libro del libro “Perché diciamo così” (Newton Compton), volume scritto dal fondatore di Libreriamo Saro Trovato contenente ben 300 modi di dire catalogati per argomento, origine, storia, tema con un indice alfabetico per aiutare il lettore nella variegata e numerosa spiegazione delle frasi fatte. Un lavoro di ricerca per offrire al lettore un “dizionario” per un uso più consapevole e corretto del linguaggio.
Un “libro di società” perché permette di essere condiviso e di “giocare” da soli o in compagnia alla scoperta dell’origine e dell’uso corretto dei modi di dire che tutti i giorni utilizziamo. Un volume leggero che vuole sottolineare l’importanza delle espressioni idiomatiche. Molte di esse sono cadute nel dimenticatoio a causa del sempre più frequente utilizzo di espressioni straniere e anglicismi.