Forse non tutti sanno che molte parole italiane che usiamo quotidianamente provengono dai dialetti regionali che, da Nord a Sud, caratterizzano e rendono unici paesi e regioni della nostra amata nazione. Potremmo infatti dire che la lingua italiana non è altro che una “summa” dei vari dialetti dove quello fiorentino (ma anche romano) fa la parte del leone grazie ai tre grandi del Trecento: Dante, Boccaccio e Petrarca, i quali hanno elevato il fiorentino illustre.
Negli ultimi decenni del Quattrocento e nei primi del Cinquecento tutti cercano di conformarsi, quindi, ai modelli letterari offerti dai Grandi: nasce – possiamo dire – la lingua “nazionale”. Tra i vari idiomi “fratelli” che si parlavano in tutto lo Stivale una sorta di plebiscito ha dato la supremazia alla lingua toscana senza, però, respingere singoli contributi offerti dalle altre “isole linguistiche” (regioni).
Le parole italiane che in pochi sanno provenire dal dialetto
Insieme a Fausto Raso, giornalista specializzato in problematiche linguistiche, vediamo regione per regione quali sono i vari termini tipici del dialetto locale che col tempo sono poi entrati “di diritto” nel lessico italiano.
Le regioni alpine
Dai dialetti delle regioni alpine abbiamo il “camoscio”, per via del commercio che si faceva della pelle di quell’animale e, abbastanza recentemente, parole legate all’alpinismo: “baita”, “croda”, “cengia”.
Lombardia
La Lombardia, oltre al famoso panettone, ha immesso nella lingua il verbo “bigiare” (marinare la scuola) e alcuni termini dell’industria casearia: la “robiola”, il “mascarpone”, l’ “erborinato”.
Piemonte
Il Piemonte, oltre ai famosi “grissini”, ha immesso nella lingua nazionale molti termini militari come la “ramazza”, il verbo “bocciare” nell’accezione di “respingere” e il “cicchetto” (rimprovero).
Veneto
Il Veneto, in particolare Venezia, ha dato alla lingua la “gondola”, molti nomi di pesci, come il “branzino”, per esempio. Sempre da Venezia abbiamo il “catasto”, il “ciao” (saluto) e la “gazzetta” nel significato di “giornale” perché, sembra, si pagasse una… gazzetta, moneta che si coniava nella città della laguna.
Abbiamo piluccato qua e là, a caso, fra i molti vocaboli che avremmo potuto citare, per dimostrare quanto copiosi e quanto vari siano i contributi che le “isole linguistiche” (regioni) hanno dato alla lingua nazionale.
Liguria
La Liguria, per la sua posizione geografica, ci ha dato termini marinari come “scoglio”, “darsena”, “boa”, “molo”, “carena” e “trinchetto”; ligure è anche il nome di quel pesciolino, l’ “acciuga”, ottimo per insaporire la… pizza.
Emilia Romagna
In Emilia troviamo l’origine di parole come il “birichino” e l’ “aleatico”, oltre al “mezzadro” e “mezzadria”, forme prevalenti sulle toscane “mezzaiolo” e “mezzeria”.
Lazio
In questa ragione, la capitale Roma ha in particolar modo contribuito all’arricchimento del lessico nazionale, regalandoci parole affettuose o scherzose come “pupo”, “racchio”, “sganassone”; sempre dalla Città eterna abbiamo “sbafare” (mangiare gratuitamente), “caciara” (chiasso), “prescia” (fretta, premura) e i gustosi “maritozzi” (con panna) oltre ai supplí (al ‘telefono’, così chiamati perché la mozzarella filante richiama i fili del telefono).
Altra parola altamente sdoganata che deriva dal dialetto romano è “cacchio”, che era in origine un termine agricolo usato per indicare i germogli della vite o di alcuni tipi di piante rampicanti o infestanti. Col tempo, è diventato un termine usato in altri contesti al posto di un’altrettanto celebre parola volgare (e per volgare intendiamo appartenente al linguaggio scurrile).
Campania
Dall’ex capitale del regno delle Due Sicilie Napoli si è diffuso il verbo marinaresco “ammainare”, propriamente “inguainare” (sottinteso le vele), così pure la “pizza” e la “mozzarella”, le “alici” e le “vongole”, oltre alla… “iettatura”.
Sicilia
La Sicilia ha dato alla lingua nazionale i “cannoli” e la “cassata”. Ma non solo: alla terra sicula dobbiamo l’esistenza nei dizionari italiani di parole come “scippo”, “intrallazzo” e “abbuffata”.
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