Cosa è l’onomastica? Che valore ha nella lingua italiana? Il termine Cicerone, insieme a mecenate, anfitrione e mentore, rappresenta un esempio dell’evoluzione di alcuni nomi propri in nomi comuni, un fenomeno ben spiegato da Bruno Migliorini nel suo studio del 1927. Questo processo è noto come deonomastica, mentre i nomi comuni derivati da nomi propri si chiamano deonimici o eponimi.
Questo fenomeno si verifica tanto per i toponimi (nomi di luogo) quanto per gli antroponimi (nomi di persona). I meccanismi principali che permettono questa trasformazione includono metonimia, metafora e ellissi, con l’antonomasia particolarmente diffusa per gli antroponimi. In quest’ultimo caso, il nome proprio di un individuo famoso, reale o immaginario, viene usato per designare chiunque condivida caratteristiche simili.
Onomastica: storia ed alcuni esempi
Cicerone, mecenate, anfitrione e mentore sono tutti esempi di deonimici nati dall’antonomasia. Partendo dalle loro radici storiche, Cicerone, il celebre oratore romano, è diventato un termine che, già dal Cinquecento, indicava una persona eloquente e, successivamente, una guida turistica. Mecenate, invece, fa riferimento a Gaio Cilnio Mecenate, un patrizio romano che supportava poeti e letterati del calibro di Virgilio e Orazio, divenendo sinonimo di chi sostiene economicamente artisti e intellettuali.
Anfitrione è un personaggio della mitologia, noto per l’episodio in cui Giove, assumendo le sue sembianze, si unì a sua moglie Alcmena; da qui, il termine è passato a indicare un padrone di casa generoso e ospitale. Infine, mentore deriva dal personaggio dell’Odissea a cui Ulisse affidò il figlio Telemaco. Col tempo, il termine è venuto a indicare una guida fidata e un consigliere saggio, anche grazie alla diffusione del romanzo Le avventure di Telemaco di Fénelon.
Quando questi antroponimi diventano nomi comuni, emergono alcune difficoltà, specialmente riguardo al loro uso al plurale e al femminile. I principali dizionari moderni concordano sull’uso dei plurali in -i per questi termini (ciceroni, mecenati, anfitrioni, mentori), una scelta che rispetta la regola della flessione italiana.
Onomastici e il genere femminile
La questione del femminile, tuttavia, è più complessa. Da un lato, la terminazione in -e dei deonimici faciliterebbe l’uso al femminile senza modifiche formali, ma l’identità maschile dei personaggi originali a cui i termini fanno riferimento può rendere difficile l’uso riferito alle donne. Inoltre, la forma di alcuni di questi termini, come cicerone e anfitrione, coincide con il suffisso -one, che potrebbe spingere verso l’uso del femminile in -ona.
Infatti, nei dizionari contemporanei, come il GRADIT, cicerone e anfitrione sono classificati come termini solo maschili, con cicerona talvolta usato in tono ironico. Mecenate, invece, può essere sia maschile sia femminile, una flessibilità dovuta alla presenza storica di numerose nobildonne e regine che hanno sostenuto le arti.
Anche mentore può essere usato al femminile, come confermano vari esempi, sebbene l’uso sia meno comune rispetto a mecenate. Diversamente, anfitriona, benché meno diffuso, è una forma femminile accettabile e trova supporto anche nello spagnolo, dove il termine è di uso corrente.
Per cicerone, nonostante esistano forme come cicerona o ciceronessa, il loro uso è sconsigliato, anche per via della connotazione ironica che il termine ha spesso assunto. Al maschile, il termine cicerone è storicamente utilizzato in modo ironico e molte espressioni che lo comprendono, come “fare da cicerone”, non richiedono necessariamente l’accordo di genere, potendo riferirsi sia a uomini sia a donne.
In sintesi, mentre il plurale dei deonimici come cicerone, mecenate, anfitrione e mentore non pone particolari problemi, l’uso al femminile varia. Mecenate e mentore possono essere usati con tranquillità al femminile, mentre anfitriona è accettabile per chi preferisce un termine femminile per anfitrione. Tuttavia, forme come cicerona e ciceronessa sono meglio evitate, poiché cariche di connotazioni ironiche che non sempre sono desiderabili nel contesto in cui si usano.