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“Molto caro” o “Carissimo”? Il corretto uso del superlativo nella lingua italiana

Quando va usato il superlativo? Quando invece è meglio accompagnare l'aggettivo da un avverbio, o utilizzare il raddoppio dell'aggettivo? Scopriamolo insieme in questo articolo

MILANO – Quando va usato il superlativo? Quando invece è meglio accompagnare l’aggettivo da un avverbio, o utilizzare il raddoppio dell’aggettivo? A fare chiarezza sull’uso o meno degli “aggettivi superlativi” ci prova Fausto Raso, giornalista specializzato in problematiche linguistiche e responsabile del nostro blog “Perché si dice“. Ecco di seguito il suo intervento.

Il nostro mestiere, per “vocazione”, ci porta a spulciare, qua e là, tra le varie opere di gente di cultura e “grandi firme” del giornalismo. Bene. Abbiamo notato il fatto che, molto spesso, i loro scritti abbondano di parole terminanti in “-issimo”; abbondano, insomma, di superlativi. Ciò non sempre a vantaggio della scorrevolezza e della bellezza stilistica del periodo. Sappiamo benissimo – chi può negarlo? – che alcune volte il superlativo è indispensabile per esprimere lo stato d’animo in cui veniamo a trovarci nel momento in cui scriviamo e desideriamo, quindi, metterlo nella massima evidenza con quelle parole terminanti in “-issimo”: bellissimo; carissimo; lodevolissimo e via dicendo. Il superlativo, insomma, a volte è sommamente indispensabile. Come fare, allora, per evitare tutti quegli “-issimi” che rovinano i nostri pur pregevoli scritti? “Semplicissimo”. Basta abituarsi a usare – per quel senso di misura che, come tutte le attività umane, anche nella lingua è fondamento di bellezza e di chiarezza – più frequentemente gli avverbi “molto” e “assai” per formare, appunto, il superlativo. Così facendo molti “-issimi” scompariranno d’incanto rendendo il periodo più bello e soprattutto più scorrevole.

Gli avverbi “molto” e “assai”, oltre tutto, vengono in nostro aiuto specialmente quando con la desinenza “issimo” si renderebbe l’aggettivo di brutta o difficile pronuncia. Perché dire, per esempio, “variissimo”; “stufissimo”; “restiissimo” quando la nostra lingua ci dà la possibilità di dire – e con un certo effetto – molto vario; assai carico, assai stufo; molto restio? Ci sono, insomma, tanti altri modi per esprimere il grado del superlativo assoluto senza “incaponirsi” con gli “-issimi”. Se non piacciono gli avverbi molto e assai se ne possono adoperare altri come “enormemente”; “sommamente”; “eccessivamente”; “straordinariamente” e via dicendo: sommamente ricco; estremamente intelligente. Anche in questo caso, tuttavia, è bene adoperarli con parsimonia. Il troppo…

Concludiamo queste modestissime noterelle, anzi assai modeste (altrimenti predichiamo bene e razzoliamo male) ricordando anche che si può ovviare all’uso eccessivo degli “-issimi” con alcuni prefissi: “arci-”; “ultra-”; “super-”; “extra-”. Possiamo dire, quindi: ultrarapido; superveloce; arcistufo. La cosa importante – e da non dimenticare – consiste, in questo caso, nello scrivere il prefisso attaccato all’aggettivo (mai con il trattino). Lo dice la stessa parola “prefisso”: attaccato, fissato prima.

La lingua, insomma, ci offre ampia possibilità di scelta per la formazione del superlativo assoluto, non ultima il raddoppio degli aggettivi stessi: sono stanco stanco (cioè: stanchissimo); il bimbo era buono buono, vale a dire buonissimo. Perché, dunque, tutti quegli “-issimi”?

 

Fausto Raso

 

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