Avete mai sentito l’espressione “menare il can per l’aia” o vi hanno mai detto “è inutile menare il can per l’aia, veniamo al punto”? Probabilmente è successo. Si tratta di un modo di dire di uso comune, appartenente al linguaggio colloquiale, seppur composto da parole di per sé poco utilizzate in altri contesti linguistici. Ma perché usiamo questa espressione? E qual è il suo vero significato? Scopriamolo di seguito.
Il significato di “Menare il can per l’aia”
“Manare il cal per l’aia” è un modo di dire usato per indicare qualcuno che parla ma senza arrivare al punto del discorso, quasi come se volesse perdere tempo o girare intorno ad un argomento senza venirne ad una conclusione ben definita.
Chi mena il can per l’aia, quindi, sarebbe colui che continua a parlare di un argomento senza mai arrivare al dunque, oppure cerca di cambiare discorso per evitare un argomento sgradito.
L’origine del modo di dire
Nonostante si usi ancora questo modo di dire, “manare in can per l’aia” è un’espressione di origine abbastanza antica, come dimostra l’uso di due termini ormai scomparsi nell’italiano contemporaneo: menare nel senso di condurre e l’aia, il cortile interno delle fattorie.
Il senso figurato è chiaro: compiere azioni che risultino inutili. L’origine della locuzione risale a quando la battitura del grano veniva effettuata apponendo il grano nell’aia e, così posto, lo si faceva calpestare conducendo sul medesimo gli animali pesanti della fattoria.
“Menare” ovvero “condurre” il cane nell’aia non è pertanto un’operazione che produca l’effetto desiderato: proprio come il cane si aggira per l’aia senza mai trovare ciò che gli serve, così la lingua di chi parla si muove a vuoto senza mai arrivare al punto.
Secondo un’altra interpretazione del modo di dire popolare, chi “mena il can per l’aia” cerca solo di creare confusione, con lo stesso intento di chi, liberando il cane nell’aia in mezzo alle galline, vuole solo generare caos, evitando così di focalizzare l’attenzione su ciò che è sgradito.
L’espressione “menare il can per l’aia” compare nel Dizionario dell’Accademia della Crusca con la seguente definizione:
“Mandare le cose in lungo per non venirne a conclusione. Lat. Tempus ducere“.
La stessa Accademia della Crusca dà come fonte autorevole per l’inclusione della locuzione nel proprio Dizionario “l’Ercolano” di Benedetto Varchi (1565).
L’origine della locuzione non è però abbastanza chiara. Nelle note al “Malmantile racquistato” (1688), Paolo Minucci si limita a parafrasare la locuzione così:
“L’aia è un luogo troppo piccolo per un cane da caccia”
Parafrasando le parole dell’autore, è chiaro il suo messaggio: il cane da caccia, abituato a spazi più ampi, a boschi e luoghi scoscesi, non deve essere condotto in spazi ristretti.
Curioso il fatto che tale espressione abbia dei corrispettivi anche in altre lingue, tutti traducibili in italiano con le frasi “girare intorno al cespuglio” in inglese (beat around the bush), in francese (tourner autour du pot) e in tedesco (um den heißen Brei herumreden), o con un più generico “girarci intorno” in olandese (om de hete brij heen draaien) e in spagnolo (marear la perdiz).
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