L’espressione della lingua italiana “sincera verità”, apparentemente ridondante, racchiude in realtà una stratificazione semantica e culturale profonda, che affonda le radici nella tradizione classica e cristiana e attraversa secoli di riflessione morale, religiosa e linguistica. A partire dal latino sincerus, il termine “sincero” indicava originariamente ciò che è puro, non corrotto, integro nella sua essenza. Non si trattava, come suggerisce l’etimologia popolare (ma infondata) di “senza cera” (sine cera), bensì di una qualità che denotava unità originaria, non mescolanza, autenticità. Questa purezza, tanto materiale quanto spirituale, è alla base dell’accostamento tra sincero e verità, dando vita a un sintagma come “sincera verità”, attestato già nel Trecento.
“Sincera verità”: ossimoro della lingua italiana?
In ambito classico, la relazione tra sincerità e verità è ben rappresentata dal celebre verso dell’Andria di Terenzio: Obsequium amicos, veritas odium parit (“L’adulazione procura amici, la verità genera odio”), ripreso successivamente da Cicerone nel De amicitia. Qui la verità è un atto di coraggio, un dovere morale verso l’amico, ma anche un rischio, perché può offendere, creare attrito, generare ostilità. Sant’Agostino, sulla scia della tradizione latina, rinnova questa concezione nella prospettiva cristiana: la verità non è solo un valore umano, ma è legata alla parola e alla sapienza di Dio, e chi la comunica – il profeta – diventa spesso un bersaglio del rifiuto. Così il Vangelo di Luca (4,24): nemo propheta in patria.
Nel contesto biblico, la sincerità ha innanzitutto una dimensione interiore: il cuore sincero è quello che non si piega agli idoli, che non si lascia corrompere dalle passioni del mondo. La sinceritas cordis è la condizione privilegiata per il rapporto autentico con Dio. Gesù stesso invita a una sincerità espressiva che riflette quella interiore: “Sia invece il vostro parlare: ‘Sì, sì’, ‘No, no’; il di più viene dal Maligno” (Matteo 5,37). La verità, se è vera, non ha bisogno di abbellimenti né di retorica.
Tuttavia, con la modernità questa identificazione tra verità e sincerità si incrina. Per autori come Pirandello, la verità assoluta non esiste: ognuno è portatore della propria verità, condizionata dalla propria visione del mondo e dell’altro. In tale prospettiva, la sincerità diventa la dichiarazione di un punto di vista individuale, non un valore universale. La “sincera verità”, allora, non è più univoca, ma molteplice, soggettiva, frammentata.
In ambito linguistico, “sincera verità” nasce come espressione rafforzativa. Le prime attestazioni risalgono al Trecento, come in Giovanni Dominici, dove indica una verità saldamente fondata su Dio. Nel Cinquecento, il sintagma si diffonde ampiamente nei trattati morali e teologici, spesso accompagnato da termini come “pura”, “verissima”, a formare locuzioni enfatiche, tipiche della retorica dell’epoca. Con il tempo, tuttavia, questa ridondanza ha perso la sua funzione rafforzativa, assumendo un valore attenuativo, come si osserva nell’uso moderno dell’espressione “a dire la sincera verità”, oggi registrata anche dal Vocabolario Treccani.
Dal punto di vista pragmatico, dire “sincera verità” può generare un’implicazione ossimorica: suggerisce che esistano anche verità non sincere, mezze verità, affermazioni solo parzialmente aderenti ai fatti. Tuttavia, tale implicazione è oggi per lo più opacizzata: il sintagma è diventato una formula idiomatica, quasi automatica, senza più l’impatto semantico originario.
Letterariamente, Dante ci offre forse le immagini più potenti della veritas sincera. Nel Paradiso, l’aggettivo “sincero” ricorre più volte con il significato di “puro”, “integro”, riferito alla fede (VI), al Cielo (VII), alla luce divina (XXVIII, XXXIII) e persino alla vista di Dante che si fa più limpida man mano che si avvicina alla verità ultima, cioè Dio. In questi casi, sincero è sinonimo di vero, intero, luminoso, e la “sincera verità” diventa la meta finale del viaggio poetico e spirituale del poeta.
Sinceramente sinceri?
In definitiva, “sincera verità” è un’espressione che porta con sé secoli di riflessioni sulla natura dell’uomo, sulla sua capacità di esprimere ciò che è autentico, su ciò che è fondamento ultimo dell’etica e della fede. Dalla purezza del cuore e della fede, alla franchezza nelle relazioni umane, fino alla ricerca di un linguaggio che non dissimuli ma riveli, la sincera verità resta, ancora oggi, un ideale tanto fragile quanto necessario. Per saperne di più rimandiamo al bellissimo articolo di Miriam Di Carlo “Etimologia di sincero e sincera verità“.