Lingua italiana: “una tantum” si diceva anche nell’antica Roma?

20 Luglio 2025

Scopriamo se l'espressione in latino "una tantum" tanto utilizzata da chi adopera la lingua italiana era utilizzata anche in latino secoli fa.

Lingua italiana una tantum si diceva anche nell'antica Roma

L’espressione della lingua italiana una tantum è oggi familiare a molti parlanti, specialmente in ambito economico, burocratico o fiscale, dove compare con una certa frequenza per indicare una somma, un contributo o un beneficio straordinario, concesso una sola volta. Ma al di là del suo uso odierno — spesso percepito come tecnicismo un po’ freddo e impersonale — una tantum cela una lunga storia, fatta di trasformazioni linguistiche, trasmigrazioni dal latino all’italiano burocratico, e persino sfumature religiose e morali.

Un’origine “pseudo-latina” nata nella lingua italiana

Dal punto di vista morfologico, la locuzione è costituita da una (forma che sembra il femminile dell’aggettivo latino unus, ma che in realtà è un’ellissi della locuzione una volta) e tantum, avverbio latino dal significato di “soltanto”. Tuttavia, chi abbia familiarità anche scolastica con il latino classico noterà subito che una tantum appare una combinazione impropria: un semplice accostamento di due avverbi — “insieme” e “soltanto” — che in latino non formano una costruzione sintatticamente corretta. Questo ha portato molti studiosi a considerare una tantum come un’espressione di latino burocratico o addirittura di latino spurio, una sorta di idioma tecnico che, pur riecheggiando la lingua classica, ne devia la grammatica e la sintassi.

Proprio per questo motivo, nei dizionari moderni si tende a definire una tantum come locuzione derivata dal “latino moderno” o addirittura da una sorta di neolatino giuridico, che nel corso del tempo si è affermato come formula idiomatica all’interno del linguaggio delle leggi, della pubblica amministrazione e delle istituzioni ecclesiastiche.

Quando entra nell’italiano

Dal punto di vista lessicografico, una tantum viene ufficialmente registrata per la prima volta nell’ottava edizione del “Dizionario moderno” di Alfredo Panzini, pubblicata nel 1942, grazie al lavoro del linguista Bruno Migliorini. Tuttavia, la datazione effettiva del suo impiego nella lingua italiana precede di gran lunga questa registrazione.

Infatti, già nei documenti ufficiali del ventennio fascista, e ancor prima nei testi risalenti all’inizio del Novecento e alla Grande Guerra, si trovano numerosi usi della locuzione una tantum, spesso legati alla concessione di benefici straordinari, premi una tantum, o imposte eccezionali richieste al cittadino.

Marco Minghetti e l’uso politico di “una tantum vice”

Scavando più a fondo, si scopre che la locuzione ha radici ancora più antiche. Il politico postunitario Marco Minghetti, figura centrale della politica italiana dell’Ottocento e uomo di grande cultura classica, impiegò nel 1875 la formula una tantum vice in una relazione sul bilancio dello Stato. In questo contesto, vice assumeva il significato latino di “volta”, così che l’intera espressione significava, con coerenza grammaticale, “una sola volta”.

Da qui si capisce che il modello originario della locuzione non era una tantum in sé, ma “una tantum vice” o ancora meglio “pro una vice tantum”, secondo la sintassi latina classica. Infatti, nella documentazione ecclesiastica e canonica, già nel XVIII secolo si incontrano espressioni di questo tipo: ad esempio, nella bolla di papa Clemente XIII del 1765, si parla della concessione di un’indulgenza plenaria “una tantum vice”.

Dal latino ecclesiastico al lessico giuridico

Ripercorrendo a ritroso la storia della locuzione, troviamo testimonianze anche nel Concilio Vaticano I (1868–1870), dove si legge la formula una tantum vice absolvi possit, cioè “possa essere assolto una sola volta”, riferita a chi fosse caduto in casi gravi o censura ecclesiastica. Questa lingua, altamente formalizzata, aveva evidentemente già accolto nella sua grammatica l’uso dell’avverbio tantum unito a una vice con il significato di “soltanto una volta”.

Scavando ancora più indietro nel tempo, troviamo documenti come il testamento di Sebastiano Fontana (inizi del Seicento), che ripetutamente usa l’espressione una vice tantum per indicare lasciti da erogarsi una sola volta. Infine, la testimonianza più antica arriva dai Diarii dello storico veneziano Marino Sanudo il Giovane, che nel 1499 menziona un’indulgenza concessa da papa Alessandro VI “pro una vice tantum”. È questa la forma completa e grammaticalmente corretta della locuzione, in cui la preposizione pro (“in ragione di”) e il sostantivo vice (“volta”) permettono di tradurre l’intera espressione con “per una volta soltanto”.

L’ellissi e la fossilizzazione della formula

Nel corso del tempo, la locuzione ha subito un processo tipico delle formule burocratiche: semplificazione, ellissi e fossilizzazione. Prima è caduta la preposizione pro, poi il sostantivo vice è scivolato in secondo piano e infine scomparso. Quello che rimane oggi — una tantum — è una formula priva di senso sintattico in latino, ma ancora fortemente espressiva in italiano, proprio per il suo valore tecnico e delimitante. Per saperne di più rimandiamo a questo articolo redatto dall’Accademia della Crusca: Una tantum.

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