Lingua italiana: il significato della curiosa parola “zurlare”

14 Ottobre 2025

Scopriamo assieme il significato di questo curioso e poco conosciuto verbo della lingua italiana: zurlare.

Lingua italiana: il significato della curiosa parola "zurlare"

Nel vasto e affascinante panorama della lingua italiana, esistono parole che sembrano portare con sé un’eco di tempi lontani, parole che forse non si usano più nel linguaggio quotidiano, ma che restano preziose testimonianze di un modo di vivere, di sentire e di esprimersi. Una di queste parole è “zurlare” (o nella forma antica “żurlare”), un verbo intriso di musicalità, che ci arriva dal toscano antico e significa scherzare, ruzzare, manifestare chiassosamente la propria allegria.

A prima vista, il termine può sembrare marginale, un relitto linguistico sopravvissuto in qualche dialetto o in antiche raccolte di proverbi. Eppure, come spesso accade nella lingua, dietro una parola apparentemente semplice si cela un intero universo culturale. “Zurlare” è una parola che racconta non solo un modo di parlare, ma anche un modo di stare al mondo, di relazionarsi con gli altri e di esprimere la vitalità della vita quotidiana.

Lingua italiana: l’etimologia e la parentela con “ciurlare”

Secondo le principali fonti etimologiche, “zurlare” è forse una variante di “ciurlare”, un altro verbo toscano che significa “fare chiasso, scherzare, burlarsi”, ma anche “vagare senza scopo” o “baloccarsi con qualcosa”. In entrambe le parole si percepisce una radice onomatopeica, legata al suono stesso del gioco e della voce, a quel ciùr- o żur- che sembra evocare il rumore del parlare allegro, del bisbiglio divertito, del chiasso conviviale.

È interessante notare come la lingua italiana, fin dalle sue origini, abbia spesso espresso i moti dell’animo attraverso suoni imitativi. In “zurlare” c’è qualcosa di immediato e di corporeo: non è una parola intellettuale o astratta, ma una parola che nasce dal corpo, dal ridere, dal muoversi, dal condividere.

La scelta del prefisso zur- (o żur-) può anche avere una funzione fonosimbolica, evocando un suono aspro e vivace, tipico delle parole che indicano movimento e vitalità. In questo senso, “zurlare” potrebbe essere considerato una di quelle parole in cui il suono anticipa il significato, in cui il linguaggio non è solo comunicazione, ma anche gesto, ritmo, danza.

Un verbo della gioia collettiva

Il significato di “zurlare” — “scherzare, ruzzare, manifestare chiassosamente la propria allegria” — ci porta nel cuore della socialità toscana, fatta di vivacità, di ironia, di piacere per la parola e per la compagnia. Zurlare non è semplicemente ridere o scherzare: è un ridere insieme, un partecipare a un gioco comune, dove la lingua diventa strumento di allegria e di complicità.

Nelle piazze dei borghi toscani del Trecento o del Quattrocento, nei mercati o nelle osterie, “zurlare” poteva significare lasciarsi andare alla spensieratezza, far rumore, ridere forte, provocare con simpatia. Era una forma di libertà espressiva, una sospensione delle regole, in cui il linguaggio usciva dai confini della formalità e diventava gioco e relazione.

In un certo senso, “zurlare” appartiene alla stessa famiglia semantica di parole come burlare, sghignazzare, ciarlare, scherzare, ma conserva una sfumatura più fisica e collettiva. Dove burlare può implicare anche una vena di ironia o di derisione, “zurlare” è più genuinamente gioioso: indica il piacere di stare insieme, di far festa, di vivere la leggerezza del momento.

Un linguaggio che si muove, come il gioco

Il verbo è anche legato al concetto di “ruzzare”, termine toscano che significa giocare in modo vivace, correre, saltare, fare baldoria. Entrambi esprimono la dimensione corporea e conviviale della lingua: il gioco non è solo mentale, ma fisico; e così anche la parola si muove, vibra, produce suono e movimento.

Questo legame fra linguaggio e gioco è profondamente radicato nella tradizione toscana, da Dante a Boccaccio. Nei Decameron, ad esempio, la parola è spesso gioco, scherzo, provocazione: i personaggi parlano per divertirsi, per ingannare il tempo, per creare legami sociali. In quella stessa atmosfera, un verbo come “zurlare” avrebbe avuto piena cittadinanza: è il verbo di chi vive la parola non come strumento di potere, ma come gioco di libertà.

L’eco di una lingua viva

Oggi “zurlare” è quasi scomparso dall’uso comune, ma non per questo ha perso la sua vitalità. Rimane come una parola-testimonianza di un modo di parlare più spontaneo, più vicino alla vita quotidiana, in cui il linguaggio non era ancora irrigidito dalle convenzioni.

Riscoprire parole come questa significa anche riscoprire la musicalità e la plasticità della lingua italiana, la sua capacità di adattarsi, di creare suoni nuovi per descrivere le emozioni e le azioni dell’uomo. È una parola che appartiene a un’epoca in cui la lingua era profondamente orale, e in cui i vocaboli nascevano dal contatto diretto con la realtà.

“Zurlare” come metafora di libertà linguistica

Nella sua semplicità, “zurlare” può diventare una piccola metafora della gioia di vivere e di parlare. È la parola di chi non teme di mostrarsi allegro, di chi sa ridere di sé e degli altri, di chi riconosce nella comunicazione un atto di partecipazione. In un mondo spesso dominato da toni seri o aggressivi, recuperare il senso di “zurlare” potrebbe significare riscoprire il valore del gioco, del sorriso e della leggerezza come forme di umanità condivisa.

In definitiva, “zurlare” non è soltanto un verbo antico: è un frammento di cultura, una finestra su un modo di essere e di parlare più spontaneo e gioioso. È la voce del popolo toscano che si esprime nella sua lingua viva, rumorosa e felice — una lingua che non teme di fare rumore per amore della vita.

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