Lingua italiana: origine e significato dell’aggettivo “dicevole”

12 Dicembre 2025

Scopriamo assieme l'origine e il significato di un aggettivo della lingua italiana ormai relegato all'ambito letterario e colto: dicevole.

Lingua italiana: origine e significato dell'aggettivo "dicevole"

La parola “dicevole”, oggi percepita come arcaica e relegata quasi esclusivamente all’ambito letterario o filologico, ha una storia lunga e stratificata nella lingua italiana. Il termine, come documentato dalle fonti lessicografiche e dai numerosi esempi d’autore, esprime un’idea di convenienza, appropriatezza, decoro, ma anche di conformità morale o sociale: ciò che “si addice”, ciò che è “opportuno”, ciò che risponde al buon gusto, alla misura, alla dignità, all’interesse. In questa sfumatura complessa risiede l’originalità del vocabolo, il quale, pur essendo caduto in disuso nell’italiano contemporaneo, continua a raccontare molto sull’evoluzione dei concetti di comportamento appropriato e di decoro nelle diverse epoche della nostra tradizione letteraria.

Origine etimologica e uso nella lingua italiana

“Dicevole” deriva dal latino decēre, “essere conveniente, essere appropriato”, da cui discendono anche altri termini italiani come “decente”, “decoro”, “decenza”, “indecoroso”. La radice latina dec- implica sempre un richiamo all’ordine, alla misura, a un comportamento adeguato sia dal punto di vista etico sia da quello estetico.

A livello morfologico, “dicevole” è un aggettivo formato su una base verbale riconducibile a “addicere” o “adattare”, cioè “che si addice”, “che si conviene”. Nel Medioevo e nel Rinascimento, accanto a forme come decévole o desévele, la parola si stabilizza come “dicevole”, conservando però la coloritura letteraria e colta che la accompagnerà fino al Novecento.

Campo semantico: convenienza, decoro, misura

Ciò che rende interessante la parola è il suo campo semantico ampio ma distinto: dicevole non significa semplicemente “appropriato”, né soltanto “giusto”, né “decoroso” in senso morale. È tutte queste cose insieme, e qualcosa di più: esprime un giudizio che tiene conto del contesto, della funzione, del ruolo sociale, dell’aspettativa estetica.

In altre parole, è dicevole ciò che si addice a una persona, a una classe, a un ruolo, a una situazione. E questa “dicevolezza” riguarda tanto gli aspetti positivi quanto quelli negativi: può infatti riferirsi anche a comportamenti sconvenienti, in cui l’aggettivo assume una sfumatura ironica o di biasimo (“una frequenza poco dicevole”).

Gli esempi letterari: un viaggio nella tradizione

Il percorso attraverso gli esempi d’autore mostra come la parola sia stata utilizzata nei secoli da alcuni dei maggiori scrittori della nostra storia linguistica.

1. Fava
Nella tradizione volgare antica, “desevele” indica ciò che è “ragionevole” e “conveniente”, segnalando un uso ancora fortemente legato alla dimensione pratica e morale del comportamento.

2. Boccaccio – Decameron
«Avessi preso uomo che alla tua nobiltà decevole fosse stato.»
Qui “decevole” esprime con precisione il concetto di adeguatezza sociale e morale. Un uomo “conveniente” alla nobiltà della donna non è solo un buon partito: è qualcuno che si inserisce armoniosamente nel suo rango e nel suo decoro.

3. Bernardo Tasso
Il poeta indica tre elementi “dicevoli e necessari” al poeta stesso. Qui l’aggettivo entra nella sfera dell’arte, dove ciò che è “dicevole” non riguarda più solo la morale, ma la correttezza stilistica e la qualità estetica dell’opera.

4. Alamanni
«Carcato sia di più dicevol some
La “dicevole soma” indica un carico adeguato al valore del cavaliere, introducendo un uso ironico e morale insieme.

5. Giraldi Cinzio
Quando parla della “dicevole qualità delle persone”, il critico rinascimentale definisce un codice di rappresentazione: re e regine devono apparire con la maestà che si addice loro. È la dicevolezza come rispetto delle convenzioni teatrali e sociali.

6. Diodati – Bibbia
«La laude è decevole agli uomini diritti.»
Qui ritorna la dimensione morale, quasi teologica: la lode è appropriata a chi vive nella giustizia.

7. Pallavicino
L’aggettivo assume un’altra sfumatura: ciò che un tempo era “dicevole” alla giovinezza non lo è più alla maturità. Il termine diventa così relativo, legato all’età e al ruolo.

8. Muratori
“Parole dicevoli al musico genio della poesia”: la dicevolezza diventa regola di stile, armonia, misura linguistica.

9. Chiari, Colletta, De Sanctis, Panzini
Negli autori moderni l’uso del vocabolo conserva il tono colto e leggermente ironico. La “frequenza poco dicevole” delle bottiglie sparecchiate (Panzini) mostra un’applicazione brillante e critica del termine.

La parola e il suo destino

Con il passare del Novecento la parola “dicevole” esce dall’uso comune, sostituita da termini più specifici come “appropriato”, “conveniente”, “adeguato”, “decoroso”. La sua perdita riflette anche un cambiamento sociale: il concetto di decoro come parametro universale si indebolisce, e con esso i vocaboli che lo esprimevano.

Tuttavia, dicevole conserva un fascino particolare: è una parola che porta con sé l’eco di un sistema morale e culturale complesso, in cui la misura, il ruolo, l’adeguatezza erano considerati elementi essenziali del vivere civile.

“Dicevole” è molto più di un semplice aggettivo arcaico: è un termine che racconta la storia delle norme sociali italiane, del decoro pubblico e privato, della misura estetica e morale. Attraverso la sua evoluzione e i suoi usi letterari, questa parola ci restituisce uno sguardo prezioso sulla sensibilità culturale dei secoli passati e ci invita a riflettere sulla trasformazione dei concetti di convenienza e adeguatezza nel mondo contemporaneo.

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