Il verbo “inficiare” rappresenta uno di quegli esempi in cui la lingua italiana, specialmente nelle sue varietà tecniche come il linguaggio giuridico e amministrativo, mostra la capacità di integrare latinismi in modo funzionale e duraturo. Pur essendo considerato un termine “comune” nella lingua dell’uso medio-alto, il verbo conserva un’aura di tecnicismo che ne fa uno strumento lessicale preciso e spesso irrinunciabile in determinati contesti. In questo articolo esamineremo il significato, l’uso, la storia e le particolarità grammaticali di questo verbo, dimostrando perché “inficiare” è molto più di un semplice sinonimo di “invalidare” o “sminuire”.
Lingua italiana: un verbo transitivo a base latina
Secondo i principali dizionari italiani dell’uso, “inficiare” è un verbo transitivo. Ciò significa che richiede un complemento oggetto diretto, il quale deve essere necessariamente inanimato. Si dirà quindi: “questa svista inficia il risultato della ricerca”, ma non “inficia la persona”, almeno non in senso letterale. È una costruzione che segue la forma “qualcuno (o qualcosa) inficia qualcosa”.
Il verbo si coniuga con l’ausiliare “avere” nei tempi composti: per esempio, “ha inficiato”, “aveva inficiato”, “avrebbe inficiato”. Inoltre, è ammessa la forma passiva: “il valore della prova è stato inficiato da un vizio formale”. Si tratta dunque di un verbo pienamente regolare, ma che non appartiene al vocabolario quotidiano di chi non ha familiarità con ambiti tecnici come il diritto.
Significato tecnico e significato esteso
Il significato principale di “inficiare”, come registrato nel GRADIT (Grande dizionario italiano dell’uso), è “invalidare, privare di validità o autenticità”. Il verbo compare per la prima volta in testi italiani nel 1935 secondo il GRADIT, ma una ricerca più approfondita mostra una prima attestazione addirittura nel 1894, all’interno del Trattato delle prove in materia civile di Carlo Lessona, e persino una possibile, benché dubbia, occorrenza nel 1698.
Il Vocabolario Treccani, oltre alla definizione giuridica, riporta anche una valenza estesa e letteraria: “togliere valore a qualcosa”, ovvero “sminuire”, “rendere dubbia o sospetta l’autenticità o la forza di un’affermazione o di un atto”. In questa accezione, il verbo si avvicina a sinonimi come “screditare”, “compromettere”, o “indebolire”.
Una tautologia accettata?
Una questione interessante sollevata da alcuni lettori è quella dell’apparente tautologia contenuta in espressioni come “inficiare la validità”: non si tratta forse di una ripetizione, visto che “inficiare” significa proprio privare di validità? A rigor di logica, l’obiezione sembrerebbe fondata. Tuttavia, le evidenze d’uso dimostrano che la formula “inficiare la validità” è non solo diffusa, ma consolidata, soprattutto nella forma negativa: “non inficia la validità”.
Una ricerca su Google produce oltre 25.000 occorrenze di questa espressione, con esempi tratti da fonti autorevoli come Diritto e Giustizia, il Sole 24 Ore, e persino lo stesso Vocabolario Treccani. Si legge, ad esempio: “La nullità di una delibera non inficia la validità delle altre approvate nella stessa riunione”. Questo uso risponde a una necessità di chiarezza e ridondanza comunicativa, tipica del linguaggio giuridico: la precisione prevale sull’economia espressiva.
I costrutti negativi e la frequenza
La forma “non inficia la validità” è tanto ricorrente da rappresentare circa la metà delle occorrenze totali del verbo, come confermato anche da strumenti come Ngram Viewer, che analizza le occorrenze lessicali nei testi dal 1800 al 2019. La frequenza elevata delle forme negative dimostra che, nel contesto giuridico, si è soliti usare “inficiare” non tanto per affermare una compromissione, quanto piuttosto per escluderla formalmente.
Lo stesso avviene per espressioni come “inficia il valore”, con oltre 7.500 risultati Google, sempre in contesti tecnici. E la forma negativa “non inficia il valore” è pure molto ricorrente, con oltre 4.800 riscontri.
Ortografia e pronuncia: attenzione alla “i”
Dal punto di vista grammaticale, “inficiare” segue la regola fonetica secondo cui i verbi che terminano in -ciare e -giareperdono la “i” davanti a una vocale anteriore (come la “e”). Quindi le forme corrette sono inficerei e inficerò, e non inficierei o inficiarò, poiché in quei casi la “i” non serve a conservare il suono dolce della “c” (già assicurato dalla “e”). La “i”, in queste coniugazioni, non ha alcuna funzione fonetica e la sua presenza risulterebbe superflua, se non addirittura errata.
“Inficiare” è un verbo che ha saputo ritagliarsi uno spazio preciso nella lingua italiana, soprattutto in ambito giuridico e amministrativo. Nonostante le sue origini latine relativamente recenti nella storia dell’italiano scritto, è ormai stabilmente impiegato sia in contesti tecnici che in linguaggi più generali, specialmente in ambito giornalistico o accademico.
La sua apparente tautologia in espressioni come “inficiare la validità” non ne riduce l’efficacia: al contrario, l’uso diffuso, consolidato e coerente in migliaia di documenti ufficiali e articoli dimostra che, nella lingua, è l’uso a fare la regola. E in questo caso, la regola è chiara: inficiare non solo si può, ma si deve – quando serve colpire con precisione logica e stilistica il cuore di una questione. Per saperne di più ecco un ottimo articolo redatto dall’Accademia della Crusca: Inficiare.