Il dubbio sull’uso corretto di “i componenti” o “le componenti” è uno di quei casi che mostrano quanto la lingua italiana sia viva, mutevole e capace di adattarsi ai contesti d’uso e ai settori del sapere. A prima vista, potrebbe sembrare una questione di poco conto: una semplice oscillazione di genere grammaticale. In realtà, dietro a questa scelta si nasconde una stratificazione storica, scientifica e semantica che racconta il percorso del termine “componente” dal suo uso tecnico-specialistico fino alla sua diffusione nella lingua comune.
Lingua italiana: il genere di “componenti”
“Componente” deriva dal participio presente del verbo “comporre”, e come tutti i participi presenti, può avere funzione sia aggettivale sia sostantivale. Nella forma aggettivale, il termine mantiene invariato il genere — per esempio, “parte componente”, “elemento componente” —, ma quando viene sostantivato, la lingua italiana oscilla tra il maschile e il femminile a seconda del contesto e del significato attribuito.
Le prime attestazioni storiche di “componente” come sostantivo risalgono al XVII secolo, in opere di scienziati come Galileo Galilei e Francesco Redi, che usano il termine al maschile per indicare “ciascun elemento costitutivo di un insieme materiale o fisico”. Galileo, nei Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze (1638), scrive infatti:
“Farsi un moto in potenza eguale ad amendue i componenti.”
In questo caso, i “componenti” sono le forze o i movimenti che, combinati, generano un risultato. Si tratta di un uso tecnico e concreto, dove l’idea di “elemento costitutivo” prevale su quella di “parte funzionale”. Da qui deriva la preferenza per il maschile, che nei secoli si è mantenuto stabile in molti linguaggi scientifici e tecnici.
L’evoluzione del genere nei linguaggi specialistici
Nei moderni dizionari dell’uso, come il Devoto-Oli 2025, il GRADIT e il Vocabolario Treccani, “componente” è definito prevalentemente come sostantivo maschile in ambiti quali la fisica, la chimica, la matematica, l’elettronica e l’automobilismo. Parliamo, dunque, di “i componenti di un vettore”, “i componenti di un circuito”, “i componenti di un’automobile”.
Tuttavia, alcuni dizionari — come il Garzanti e lo stesso GRADIT — riconoscono anche un uso femminile, soprattutto in relazione a locuzioni che indicano entità astratte o parti interdipendenti di un sistema complesso. È il caso di espressioni come “le componenti del reddito”, “le componenti del pensiero”, “le componenti emotive”, “le componenti del lessico”.
In questi casi, il femminile sembra imporsi per due motivi:
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L’influenza del sostantivo sottinteso (“parte” o “categoria”, entrambi femminili).
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Il valore astratto o collettivo del termine, che privilegia una visione unitaria e interdipendente piuttosto che una somma di elementi distinti.
Così, mentre nel campo tecnico-scientifico il maschile resta dominante, nei contesti umanistici, economici e sociali il femminile è oggi molto frequente.
L’uso concreto nella lingua contemporanea
L’analisi dell’uso reale, condotta su corpora come Google Books Ngram Viewer o Italian Web 2020, mostra che l’alternanza è tutt’altro che rara. Ad esempio, si trovano sia “i componenti hardware” sia “le componenti hardware”, con una leggera prevalenza del maschile in testi tecnici e del femminile in quelli divulgativi.
La lingua parlata, inoltre, tende a seguire un criterio intuitivo: si dice “i componenti del motore”, ma “le componenti del gruppo” o “le componenti della personalità”. Questo dimostra che la scelta del genere non è arbitraria, ma motivata dal tipo di realtà — concreta o astratta — di cui si parla.
Un ulteriore ambito interessante è quello giuridico e amministrativo, dove il termine “componente” viene spesso riferito a persone che fanno parte di un organo collegiale: “i componenti il consiglio di amministrazione”, “le componenti della commissione”. Qui, il genere può variare in base al sesso dei soggetti o alla struttura del gruppo, e non mancano esempi in cui “componente” al femminile indica una persona donna (“la componente del comitato regionale”).
Le ragioni dell’oscillazione
Da un punto di vista morfologico, l’ambiguità di genere dipende dalla natura stessa del participio presente, che non possiede un genere intrinseco: la sua forma è invariabile e si adatta al sostantivo che accompagna o sottintende. Questo spiega perché in certi contesti prevalga il maschile (sottintendendo “elemento”, “pezzo”) e in altri il femminile (sottintendendo “parte”, “unità”).
Inoltre, in linguistica teorica si parla di genere per default, cioè la tendenza dell’italiano ad attribuire il maschile quando il genere non è chiaramente determinato. Tuttavia, nel caso di “componente”, l’uso vivo della lingua ha progressivamente introdotto un criterio semantico, distinguendo in modo funzionale tra i componenti concreti e le componenti astratte o collettive.
Una lingua che si adatta
In conclusione, non esiste un’unica forma “corretta” tra i componenti e le componenti. La scelta deve tener conto del contesto, del registro e del campo semantico. Se si parla di elementi materiali e separabili, come quelli di un motore o di un circuito, il maschile resta la forma preferibile. Se invece ci si riferisce a entità astratte, come le componenti di una personalità o di una società, il femminile risulta più naturale e diffuso.
La flessibilità del termine riflette la capacità dell’italiano di accogliere la complessità del mondo che descrive: una lingua che non impone rigidità, ma che si plasma attorno al pensiero e alla realtà, come ogni vero organismo vivente. E così, anche dietro un’apparente incertezza grammaticale, si rivela la ricchezza e la vitalità del nostro lessico. Per approfondire: Sul genere di componente.