Lingua italiana: “sfastidiare” è corretto? si può dire?

16 Luglio 2025

Scopriamo se secondo le norme della lingua italiana la tanto bistrattata parola "sfastidiare" è corretta o rientra tra le parole dialettali.

Lingua italiana sfastidiare è corretto si può dire

Nel vasto panorama della lingua italiana, esistono parole che, pur appartenendo formalmente al lessico della lingua, restano per secoli in una sorta di “sonno lessicale”, limitate all’uso locale o dialettale, prima di essere rispolverate e riscoperte con nuovo vigore. È il caso del verbo sfastidiare, un termine che oggi può apparire come un neologismo espressivo, dal tono vagamente comico o dialettale, ma che in realtà vanta una storia antica, nobile e stratificata. L’analisi di questa parola permette non solo di esplorare i meccanismi di evoluzione linguistica, ma anche di riflettere sul valore dell’espressività e sul rapporto tra lingua standard e parlate regionali.

La lingua italiana attraverso l’imprescindibile GDLI

Il verbo sfastidiare è, a tutti gli effetti, attestato nella lingua italiana, ed è registrato anche nel Grande Dizionario della Lingua Italiana (GDLI), uno dei più autorevoli strumenti lessicografici disponibili. Ma prima ancora della codificazione nei dizionari moderni, la parola ha avuto una documentazione significativa nei dialetti dell’Italia centro-meridionale, dove è da secoli viva, usata e pienamente comprensibile. In particolare, nel napoletano il verbo è documentato sin dal Trecento, e sopravvive ancora oggi nel parlato quotidiano. Basti pensare allo slogan apparso su un manifesto a Napoli nel 2021: cesimmesfasteriati, che può essere tradotto con “ci siamo sfastidiati” o, in una forma ancora più efficace, “ci siamo stufati”.

Nonostante questa lunga presenza nei dialetti e il suo significato intuitivo (per via della evidente parentela con fastidio, infastidire), sfastidiare non ha avuto particolare fortuna nella lingua italiana standard. Le cause sono molteplici: dalla concorrenza diretta di infastidire, più diffuso e codificato, alla presenza storica, oggi quasi dimenticata, di una forma opposta di sfastidiare che significava “togliere il fastidio”. Questa ambiguità semantica, oggi risolta nei dizionari, ha in passato causato confusione e probabilmente ha ostacolato la piena affermazione del verbo nel lessico comune.

Eppure, non mancano attestazioni autorevoli e significative. L’esempio forse più illustre proviene da Giovanni Boccaccio, che nel Filocolo, scritto durante la sua permanenza a Napoli, utilizza la forma sfastidiano con il significato di “infastidiscono”. Si tratta di una testimonianza di straordinaria importanza, che conferma non solo l’antichità della parola, ma anche la sua collocazione geografica originaria. L’opera di Boccaccio fu successivamente trascritta da vari copisti, e proprio in questa fase la forma sfastidiano fu spesso modificata o fraintesa, diventando fastidiano o infastidiano, il che ne ha impedito la canonizzazione nelle edizioni successive.

Nel corso dei secoli, tuttavia, sfastidiare è sopravvissuto nella scrittura di autori meridionali. Si ritrova, ad esempio, nel libro La ragione della musica moderna di Niccola Marselli (1859), o in un articolo della Rivista marittima del 1884. In tempi recenti, il verbo ha conosciuto una certa ripresa nell’uso letterario e giornalistico.

È stato impiegato, per esempio, dalla scrittrice pugliese Maria Teresa Di Lascia nel romanzo Passaggio in ombra, dove una voce narrante dice: “io non mi sfastidio se qualcuno russa”. Diego De Silva lo usa per caratterizzare con efficacia un personaggio che guarda con “aria sfastidiata”. Anche personaggi pubblici come Paola Cortellesi e il filosofo Lucio Colletti hanno impiegato il verbo in dichiarazioni rese pubbliche, a conferma di una sua vitalità nei registri informali e spontanei.

Ma che cosa significa davvero “sfastidiare”? Il verbo esprime un fastidio acuto, spesso prolungato, che va oltre la semplice noia o seccatura. Il suo uso riflessivo, tipico delle parlate meridionali (come in mi sono sfastidiato), rende ancora più evidente il coinvolgimento emotivo di chi lo pronuncia. Rispetto a verbi come seccare, scocciare, rompere, sfastidiare appare più intenso, quasi viscerale, e porta con sé una connotazione colorita e umorale, perfettamente adatta alla comunicazione orale.

La fortuna recente della parola si spiega con l’attenzione crescente verso le forme regionali dell’italiano, che spesso vengono riscoperte per la loro efficacia espressiva. In un contesto in cui la lingua si plasma sempre più a misura dei media e della comunicazione immediata, parole come sfastidiare offrono strumenti preziosi per rappresentare sfumature emotive complesse, con un tono più genuino e personale.

Un ulteriore elemento interessante è la risoluzione della doppia accezione storica del verbo. Secondo il TLIO (Tesoro della Lingua Italiana delle Origini), oggi il significato prevalente e riconosciuto è quello intensivo, ovvero “infastidire molto”, mentre l’accezione opposta, “togliere il fastidio”, è uscita dall’uso. La s- iniziale assume dunque valore rafforzativo, come in sgocciolare o sbriciolare, rendendo il verbo più diretto e pregnante.

Sfastidiare dunque non dovrebbe infastidire

In conclusione, sfastidiare è un esempio affascinante di come la lingua italiana sia un organismo vivente, che conserva nella sua memoria forme antiche, pronte a riemergere nei momenti più impensati. Dall’ombra dei manoscritti medievali alla vivace oralità napoletana, fino alle pagine della letteratura contemporanea, questo verbo testimonia il potere della parola di attraversare il tempo e di rispecchiare, con tutte le sue sfumature, le emozioni umane. E in un’epoca in cui, spesso, siamo sfastidiati dal rumore del mondo, è forse giunto il momento di restituire dignità anche a quelle parole che sembravano perdute. Per saperne di più ecco un ottimo redatto dall’Accademia della Crusca: Sfastidiare non dovrebbe dare fastidio.

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