L’aggettivo della lingua italiana “scarsocrinito” è uno di quei termini rari, poco noti, che si annidano ai margini del nostro lemmario, in quel territorio fertile dove si incontrano creatività, ironia e invenzione. È una parola scherzosa, forse gergale, dal significato semplice ma dal suono volutamente aulico e ridondante: “scarsocrinito” significa “che ha pochi capelli”, ossia calvo o con la calvizie incipiente. Eppure, proprio grazie alla sua forma inusuale, questo termine racconta più di quanto sembri a prima vista. Esso è l’esempio perfetto di come anche l’umorismo linguistico possa farsi chiave per riflettere sull’identità, sull’autopercezione e sui modi in cui la lingua risponde ai cambiamenti della fisicità e dell’età.
Origine e composizione della parola della lingua italiana
Dal punto di vista morfologico, “scarsocrinito” è un aggettivo formato da due elementi: “scarso”, che indica penuria o insufficienza, e “crinito”, termine arcaico o letterario per “dotato di crini”, cioè capelli. “Crinito” è un derivato del latino crinitus, aggettivo da crinis, capelli o chioma. È un aggettivo che si trova per esempio nella zoologia (si parla del “leone crinito”) oppure nella descrizione poetica di personaggi mitici o epici. L’aggiunta del prefisso “scarso-” produce quindi un effetto immediato e umoristico: il “crinito”, figura nobile e potente, viene improvvisamente ridotto alla sua versione dimidiata, fragile, quasi comica.
Il risultato è una parola che suona seriosa, quasi altisonante, ma che in realtà veicola un senso ironico, spesso autoironico. Dire di qualcuno che è “scarsocrinito” significa infatti sottolineare la mancanza di capelli con leggerezza, senza ricorrere a termini più crudi o clinici come “calvo” o “pelato”, e soprattutto con una vena di complicità linguistica, come se si stesse giocando con il linguaggio e con le sue possibilità di smorzare la realtà.
L’ironia come strumento di accettazione
La perdita dei capelli è uno degli eventi più comuni nella fisiologia maschile, e spesso anche femminile, che però continua a essere vissuto da molti come una forma di decadimento o di perdita di attrattiva. La lingua, in questo caso, offre una via d’uscita: la possibilità di ridere, o almeno di sorridere, di fronte a ciò che non si può controllare. “Scarsocrinito” permette di descrivere se stessi o gli altri con uno sguardo più indulgente, perfino affettuoso, esorcizzando il fastidio o la vergogna attraverso l’umorismo.
Questo uso umoristico della lingua non è affatto marginale. Come insegna Sigmund Freud nel suo celebre Il motto di spirito e la sua relazione con l’inconscio, l’ironia e il gioco di parole svolgono un ruolo fondamentale nel permettere agli individui di elaborare le ansie, le paure e i mutamenti che la vita porta con sé. In questo senso, “scarsocrinito” è una parola terapeutica, un piccolo atto di resilienza verbale.
È simile, per funzione, ad altri aggettivi ironici come “abbottonatissimo” (per chi non lascia trapelare emozioni), “decervellato” (usato per indicare chi si comporta senza riflettere) o “attufato” (sommerso dal caldo o dall’afa, spesso con piglio comico). Queste parole contribuiscono a definire il tono emotivo di un discorso, permettono di prendere le distanze da ciò che si dice e al tempo stesso coinvolgono l’ascoltatore in una specie di intesa implicita.
In una società dominata dal linguaggio tecnico e funzionale, in cui tutto deve essere chiaro, diretto, e finalizzato a un obiettivo, parole come “scarsocrinito” rivendicano il diritto all’inutile, al gratuito, al bello per il solo fatto di esserlo. Come ogni forma d’arte, anche il linguaggio ha bisogno dei suoi orpelli, delle sue metafore e dei suoi eccessi. In questo senso, il termine si colloca nella tradizione del barocco linguistico, dove il piacere del dire supera la necessità del detto.
Riflessioni sull’identità e sul tempo
Infine, “scarsocrinito” ci invita a una riflessione più ampia sull’identità e sul passare del tempo. La trasformazione del corpo, il diradamento dei capelli, le prime rughe non sono solo mutamenti fisici, ma anche simbolici: segnalano il passaggio da una fase della vita a un’altra, e richiedono un nuovo modo di stare al mondo. Utilizzare una parola come questa significa anche riconoscere, con un sorriso, che si sta cambiando, ma senza dramma. È un gesto di consapevolezza, forse persino di maturità.
In conclusione, l’aggettivo “scarsocrinito”, pur così marginale e bizzarro, è un esempio notevole della ricchezza della lingua italiana e della sua capacità di trasformare ogni esperienza – anche quella della calvizie – in un’occasione di gioco, riflessione e accettazione. In un’epoca in cui l’apparenza è spesso feticcio e l’invecchiamento viene temuto o rimosso, ridere di sé, anche attraverso le parole, è forse l’atto più rivoluzionario.