Nella lingua italiana, la parola “chef” rappresenta un caso esemplare di prestito linguistico non adattato, un termine che è entrato nell’uso comune con un significato preciso — quello di capocuoco, e più precisamente cuoco di grande abilità che lavora in ristoranti eleganti. Proveniente dal francese, dove il termine chef ha una molteplicità di significati legati all’idea di capo, il vocabolo è stato accolto nella nostra lingua in una forma immutata e con un’accezione ristretta. Ciò che in francese può significare caposquadra, direttore d’orchestra, caporeparto, in italiano si è fissato soprattutto in ambito culinario.
Lingua italiana e prestiti linguistici
Alfredo Panzini già nel 1905 segnalava questo uso nel suo Dizionario moderno, osservando con una certa ironia come il suono “aspro” di questo monosillabo straniero affascinasse le orecchie italiane, abituate a parole più armoniche. Ancora nel 1942, Panzini considerava l’uso di chef in italiano come “abusivo”, riservato ai contesti di lusso e di alta cucina, a scapito di termini più genuinamente italiani come cuoco o monsù (l’italianizzazione meridionale di monsieur, con cui si indicava un cuoco professionista francese).
L’adozione di chef in italiano ha seguito una traiettoria tipica dei prestiti linguistici: il termine è stato selezionato per il suo prestigio e per la sua capacità di evocare un mondo alto, raffinato, quasi esoterico, quello dell’alta ristorazione. Al tempo stesso, questo prestito ha reso superfluo l’uso di forme italiane più trasparenti, facendo emergere anche una questione oggi centrale: come declinare al femminile un prestito linguistico che nasce maschile?
La crescente visibilità delle donne nella gastronomia professionale ha reso evidente la necessità di affrontare il problema del genere. Così come non chiameremmo cuoco una cuoca, perché dovremmo chiamare lo chef anche una donna? È evidente che un adattamento al femminile è necessario, ma quale forma scegliere?
In francese la questione è tutt’altro che risolta. Il rapporto dell’Académie française del 2019 dedicato alla femminilizzazione dei nomi di mestiere e funzioni pubbliche mostra come per chef non esista una forma femminile stabile. Tra le varianti registrate troviamo cheffe, chèfe, chève, cheffesse e cheftaine, con un certo consenso che si sta formando attorno alla forma cheffe, per la sua regolarità morfologica (sul modello di italien / italienne).
Tuttavia, cheffe non è ancora accettata unanimemente, e si osservano anche scelte meno innovative come l’uso di chef con articolo e aggettivi femminili, come avviene in Svizzera e in Canada. In questi contesti si scrive la chef, oppure la chef canadienne, rispettando la grammatica ma senza forzare la forma del prestito.
L’italiano, da parte sua, è notoriamente conservatore con i prestiti stranieri. Raramente li modifica, preferendo mantenerli inalterati anche al plurale (i film, gli chef, i kibbutz). È quindi coerente, almeno secondo le norme attuali della nostra lingua, preferire la forma “la chef” per designare una donna in posizione di comando in cucina.
Questa soluzione, pur non perfetta, consente di marcare il genere attraverso l’articolo e l’accordo degli aggettivi, mantenendo però invariata la forma del prestito. È un compromesso che rispetta l’uso e la struttura della lingua italiana, pur aprendo la porta, se necessario, a future evoluzioni.
Inoltre, bisogna notare che l’uso di chef non è più legato esclusivamente al mondo dell’alta ristorazione. Oggi si trovano chef anche nelle trasmissioni televisive, nei social media, nei libri di cucina: figure carismatiche e spesso glamour, capaci di incarnare un ruolo che va oltre la semplice preparazione dei piatti. Parlare di una chef stellata o di una chef televisiva non è più insolito, segno che la lingua si adatta anche senza dover ricorrere a neologismi forzati.
“Cheffe”?
Detto questo, la discussione resta aperta. In futuro, la forma cheffe potrebbe prendere piede anche in italiano, specie se sostenuta da un uso crescente e da una volontà collettiva di visibilizzare le professioniste del settore. Non sarebbe la prima volta che un prestito si adatta: pensiamo a manager, che a volte in contesti giornalistici diventa manageressa, o a mecenate, che oggi può essere anche mecenata.
In conclusione, chef è una parola che porta con sé il fascino del francese, la forza di un prestito semantico legato alla leadership e alla creatività, e oggi anche la sfida della parità di genere. Dire la chef è oggi la soluzione preferibile in italiano, ma la storia della lingua ci insegna che l’uso, più delle regole, determina il destino delle parole. E chissà che un giorno anche cheffe non entri nei dizionari, con buona pace di Panzini e delle sue orecchie in cerca d’armonia. Per saperne di più ecco l’ottimo articolo redatto dall’Accademia della Crusca: Sul femminile di Chef.