Tra le tante figure che popolano il panorama degli studi linguistici e culturali (di lingua italiana e non solo), ce n’è una tanto affascinante quanto poco conosciuta: il paremiologo. Il termine, ricavato dal greco antico, unisce paroimía (παροιμία), cioè “proverbio”, e logos, “discorso”, “studio”. Il paremiologo è, dunque, colui che si occupa di paremiologia, ovvero la disciplina che studia i proverbi, la loro origine, struttura, diffusione e significato.
Lingua italiana: chi è il paremiologo
In un’epoca in cui la comunicazione sembra puntare alla rapidità e all’effimero, e in cui il linguaggio tende a frammentarsi in messaggi brevi e spesso impersonali, il lavoro del paremiologo si presenta come un esercizio di memoria e di ascolto delle voci antiche. È uno studioso che scava nel linguaggio quotidiano per restituirci la profondità della sapienza popolare, per mostrare come i proverbi non siano semplici formule retoriche, ma condensati di esperienza e riflessione collettiva.
Il proverbio è una delle più antiche forme di espressione umana. Breve, incisivo, spesso ritmato o rimato, racchiude un pensiero, una morale, un insegnamento. La sua efficacia sta nella capacità di dire molto con poche parole, usando immagini, metafore, giochi fonetici, antitesi. È, insomma, una miniatura della cultura: un modo in cui una comunità si tramanda valori, paure, convinzioni, osservazioni sulla vita e sul mondo.
Studiare i proverbi significa dunque studiare una parte viva e significativa dell’identità di un popolo. I paremiologi analizzano i proverbi in chiave linguistica, antropologica, storica, letteraria. Si interessano alle varianti regionali, alle trasformazioni nel tempo, ai significati nascosti. Confrontano proverbi italiani con quelli di altre lingue e culture, scoprendo spesso sorprendenti analogie: l’esperienza umana, pur nella varietà dei contesti, produce spesso saggezze simili.
Il paremiologo può essere un linguista, un filologo, un antropologo culturale, o uno studioso che si occupa di letteratura orale. Il suo lavoro implica la raccolta, classificazione e interpretazione dei proverbi. Spesso parte da fonti orali, raccogliendo proverbi ancora in uso nelle varie regioni, oppure analizza testi scritti, dalle raccolte seicentesche alle trascrizioni folkloriche ottocentesche.
Importante è anche la funzione comparativa. I paremiologi si chiedono, per esempio, se esista un proverbio in italiano che corrisponde a “When in Rome, do as the Romans do” o “Birds of a feather flock together” in inglese, oppure se un detto napoletano abbia paralleli in altre regioni d’Italia o d’Europa. E ancora: perché certi proverbi cadono in disuso? Cosa ci dice questo sulle trasformazioni culturali e sociali?
Il lavoro del paremiologo ha anche risvolti pratici. I proverbi sono usati in letteratura, pubblicità, giornalismo, politica. Conoscere la loro origine e il loro significato profondo permette di usarli con maggiore consapevolezza, evitando forzature o travisamenti.
Il proverbio oggi: tra memoria e innovazione
Il proverbio, a differenza di molte forme letterarie, ha una struttura elastica, che lo rende adattabile e trasformabile. Nei social media, per esempio, proliferano giochi di parole, rivisitazioni parodiche, reinvenzioni satiriche dei proverbi classici. Questo non significa che i proverbi siano scomparsi: al contrario, si rivelano ancora una volta strumenti agili di comunicazione e critica.
Il paremiologo del XXI secolo non studia soltanto i proverbi tramandati da generazioni, ma osserva anche come si generino nuovi modi di dire, come si modifichino antichi detti per rispondere al presente. Si pensi alla riemersione di proverbi dimenticati nei momenti di crisi — ad esempio, durante la pandemia, quando il detto “la salute è la prima cosa” ha assunto nuova forza e centralità — oppure alla creazione di neologismi proverbiali legati alla tecnologia e alla cultura digitale.
Dietro ogni proverbio si nasconde un mondo. Studiare i proverbi vuol dire comprendere la visione del mondo che li ha generati. Detti come “chi semina vento raccoglie tempesta”, o “tanto va la gatta al lardo che ci lascia lo zampino”, parlano della giustizia naturale, della prudenza, della ripetizione delle esperienze umane. Altri ancora, come “moglie e buoi dei paesi tuoi”, rivelano un fondo di provincialismo culturale che può essere discusso e decostruito.
Il paremiologo, dunque, non si limita a collezionare proverbi: ne interroga il senso, ne valuta la portata educativa o ideologica, ne osserva la trasformazione. È un interprete del linguaggio profondo delle comunità umane, un custode della loro memoria espressiva.
La figura del paremiologo merita di essere riscoperta e valorizzata. In un mondo che sembra dominato dalla novità e dalla velocità, egli ci ricorda che c’è un sapere sedimentato nelle parole, che il passato parla ancora attraverso le formule brevi che tutti conosciamo e ripetiamo. I proverbi non sono frasi fatte: sono pensieri pensati, condensati, tramandati. E il paremiologo è colui che ne svela la storia, la struttura, la vita nascosta. In un certo senso, è un archeologo del linguaggio quotidiano, e come tale ci aiuta a capire meglio non solo il nostro modo di parlare, ma anche il nostro modo di pensare.