Lingua italiana: origine e significato di “cantafavola”

19 Novembre 2025

Scopriamo assieme quali sono origine e significato della parola della lingua italiana ormai poco comune "cantafavola".

Lingua italiana: origine e significato di "cantafavola"

La parola cantafavola appartiene a quel patrimonio lessicale della lingua italiana che conserva, nel suo stesso suono, l’eco di una oralità antica e vivacissima. Il termine, formato dalla fusione tra cantare e favola, suggerisce immediatamente un intreccio fra narrazione e ritmo, fra parola detta e parola cantata, fra invenzione e ripetizione rituale.

Il vocabolario italiano registra due significati principali: da un lato, cantafavola indica un racconto lungo, noioso, spesso inverosimile, una sorta di ciarla senza fine; dall’altro, nella storia delle tradizioni popolari, designa un particolare tipo di narrazione ritmica e faceta, articolata in domande e risposte, recitata con cadenze specifiche. Questi due significati, apparentemente distanti, hanno invece un’origine comune nella natura stessa del racconto orale, che può essere tanto un gioco quanto un eccesso.

Cantafavola nella lingua italiana

Nel linguaggio comune, definire qualcosa una cantafavola equivale a smascherare una narrazione lunga, inconcludente, a tratti irritante. Il termine porta con sé una sfumatura leggermente ironica e dispregiativa: una cantafavola è ciò che si ascolta controvoglia, oppure una storia che appare artificiosa, incredibile, troppo costruita per essere vera. L’idea di “favola” suggerisce l’invenzione, l’immaginazione, mentre il prefisso canta- indica la ripetizione ritmica, come se il narratore stesse portando avanti una storia senza mai arrivare a una conclusione.

Questa accezione si lega a una delle caratteristiche più antiche dell’oralità: la tendenza alla reiterazione. I racconti popolari, soprattutto nelle veglie, nelle stalle o nelle case contadine, venivano arricchiti, dilatati, adottando formule ripetitive per mantenere viva l’attenzione. Ma ciò che era piacevole in un contesto rituale può diventare tedioso in un contesto quotidiano: da qui l’uso dispregiativo del termine. Una cantafavola diventa ciò che fa perdere tempo, ciò che porta lontano dal punto, ciò che non serve.

Cantafavola nel folklore: ritmo, alternanza, teatralità

Il secondo significato, invece, appartiene alla ricerca folclorica e alla storia delle tradizioni popolari, con una radice lessicale più precisa: cantafable, termine francese medievale che indicava componimenti narrativi alternanti prosa e versi, canto e racconto. La tradizione italiana ha reinterpretato questo modello trasformandolo in una forma specifica: la cantafavola, narrazione costruita su una successione di domande e risposte, molto spesso con funzione ludica, pedagogica o performativa.

Si tratta di testi che, pur essendo racconti, possiedono una struttura quasi musicale. L’andamento ritmico è fondamentale: le formule sono concatenate, procedono come una spirale, ripetono strutture con piccole variazioni che danno vita al racconto. La voce, nella recitazione, deve seguire particolari intonazioni e cadenze, spesso veloci, talvolta incalzanti, altre volte lente e cantilenanti.

La cantafavola è quindi un genere borderline tra racconto, canto e gioco: non è una favola in senso classico, perché manca spesso una morale; non è una poesia, benché abbia ritmo; non è una canzone, anche se può essere parzialmente cantata. È una forma mista, viva, modellata dalla situazione in cui viene narrata.

Funzione sociale della cantafavola

Nelle comunità rurali e preindustriali, la cantafavola aveva diverse funzioni:

  1. Intrattenimento – Era una forma di divertimento collettivo, spesso praticata nelle veglie o nei momenti in cui il lavoro manuale richiedeva presenza fisica ma non concentrazione mentale.

  2. Memoria orale – Le formule ripetitive facilitavano la memorizzazione e permettevano anche ai bambini di partecipare al racconto o di impararlo.

  3. Gioco dialogico – La struttura domanda/risposta coinvolgeva più persone, trasformando la narrazione in un gioco semicorale.

  4. Veicolo culturale – Attraverso la cantafavola si diffondevano proverbi, modi di dire, frammenti di saggezza popolare.

La dimensione faceta e allegra di queste narrazioni serviva anche a stemperare la durezza della vita quotidiana. La cantafavola portava fantasia in contesti poveri o segnati da ritmi di lavoro serrati.

È particolarmente affascinante osservare come la parola cantafavola abbia subito una trasformazione semantica nel passaggio dall’uso tecnico-folclorico a quello comune. Da una forma alta e complessa di narrazione popolare, essa si è degradata a significare un discorso lunghissimo e inconsistente. Ma questa trasformazione non è casuale: quando una forma rituale perde il proprio contesto, ciò che rimane può apparire vuoto, ripetitivo, stancante.

Non è raro che parole legate alla tradizione orale subiscano un’evoluzione simile: termini che un tempo indicavano pratiche codificate e comunitarie diventano metafore negative per parlare di eccesso o confusione. Nel caso di cantafavola, la metamorfosi mostra come il linguaggio conservi tracce di tradizioni perdute, pur rimanendo capace di adattarsi ai nuovi contesti comunicativi.

La cantafavola oggi: una parola rara ma rivelatrice

Oggi cantafavola è un termine poco utilizzato, relegato per lo più ai dizionari e agli studi sul folklore. Eppure, il suo potenziale espressivo rimane intatto. Chiamare qualcuno un “cantafavole” significa denunciarne la tendenza a raccontare storie inconsistenti, a dilungarsi inutilmente, a costruire narrazioni senza fondamento. Allo stesso tempo, la parola continua a evocare un mondo fatto di racconti ritmici, di voci che si alternano, di comunità che condivide un testo attraverso il motto e la formula.

Riscoprire la cantafavola significa quindi recuperare un pezzo di storia dell’oralità italiana: una traccia di come parlavano, giocavano, insegnavano e raccontavano generazioni che vivevano senza scrittura, senza tecnologia, ma con un patrimonio ricchissimo di parole e di suoni. In un’epoca dominata da narrazioni rapide e frammentate, riflettere su queste forme antiche può ricordarci che il linguaggio non è solo veicolo di informazione, ma anche di ritmo, di comunità e di creatività. La cantafavola ci insegna che il parlare può essere canto e che il racconto, quando diventa formula, diventa memoria collettiva.

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