Lingua italiana: “messione”, origine e significato della parola

7 Dicembre 2025

Scopriamo assieme qual è l'origine e quale il significato della parola della lingua italiana "messione" e in quale situazione viene usata.

Lingua italiana: "messione", origine e significato della parola

La parola messione, oggi completamente scomparsa dall’uso comune, appartiene a quel patrimonio lessicale della lingua italiana che apre una finestra su una diversa visione del mondo: un sistema culturale in cui il dono, la generosità e la munificenza avevano un valore sociale e morale centrale. Nelle fonti medievali e trecentesche, messione indica infatti un’“elargizione”, un “donativo”, un atto di liberalità compiuto da chi possiede ricchezze, competenze o potere. Il termine non rimanda soltanto al gesto materiale del dare, ma anche a un atteggiamento mentale e civile, quello della larghezza, cioè della capacità di offrire senza calcolo, per prestigio, onore o riconoscenza.

La storia del vocabolo, attestato in Dante, Bonagiunta, Chiaro Davanzati, Monte Andrea e altri autori della lirica medievale, rivela non solo un’evoluzione linguistica, ma soprattutto un sistema di valori in cui la generosità costituiva un elemento distintivo del “buon signore”, dell’uomo nobile o del mecenate. Il gesto del donare non era mai neutro: rappresentava uno scambio di rispetto, gratitudine, e prestigio sociale.

Un significato radicato nella cultura cortese

Le origini etimologiche di messione rimandano al provenzale mesio / mesion, termine utilizzato nei territori occitani per indicare la spesa o la rendita, ma soprattutto il dono che un mecenate elargiva ai trovatori. Questo elemento è fondamentale: nella poesia dei trovatori, come ricorda Bertrando del Born, il signore generoso era colui che “sapeva donare ricchi doni e fare le altre messios ai soldati e ai giullari”. Il sostegno economico ai poeti, infatti, costituiva una parte essenziale della vita cortese e permetteva al mecenate di acquisire fama di liberalità.

La parola passa in Italia attraverso la cultura siciliana e toscana, dove assume il valore specifico di “atto di munificenza”. Ciò spiega la ricorrenza del termine nella poesia toscana del Duecento e del Trecento, in cui la larghezza – virtù aristocratica per eccellenza – veniva celebrata come tratto distintivo del cavaliere ideale.

La “messione” dantesca: un dono che può essere nobile o ingannevole

Dante impiega il termine messione più volte, e sempre con un’attenzione morale acuta e severa. Nel Purgatorio (XXX, 26) afferma che la “lor missione a’ bon’ non pò piacere, / perché tenere / savere fora”: i donativi dei malvagi, insomma, non possono piacere ai buoni, poiché chi davvero possiede saggezza dovrebbe evitare di accettare favori interessati. Qui il dono appare come gesto ambiguo, sospeso tra generosità e corruzione.

In un’altra occorrenza, nel Convivio (IV, XXVII, 14), Dante si scaglia contro la falsa munificenza dei tiranni, paragonandola al ladro che ruba una tovaglia d’altare e poi la stende sulla sua tavola come se nessuno potesse accorgersene. Il dono illecito, ostentato sotto forma di “messione”, diventa così simbolo della corruzione morale e dell’ipocrisia del potere. La parola assume, per contrasto, un peso etico: la messione dovrebbe essere un atto puro, libero, spontaneo; quando diventa ostentazione o compensazione del male, perde ogni valore.

“Fare messióne”: la generosità come virtù sociale

La locuzione fare messione compare frequentemente nei testi medievali e indica l’atto di usare grande generosità per ottenere stima, onore o riconoscenza. Bonagiunta Orbicciani, nella sua poesia, afferma che un uomo è tanto più da biasimare quanto più possiede ricchezza e intelligenza e non “fa messione”, cioè non usa larghezza. Questo modo di pensare rispecchia un’etica tipica della mentalità cortese: la ricchezza non aveva valore se non veniva redistribuita, se non produceva legami sociali.

Monte Andrea, in un altro passo, critica chi si mostra largo con i doni non propri, giudicandolo un “folleggiare”: una messione falsa, priva di autentica generosità. Chiaro Davanzati, invece, celebra la messione ricevuta da un amico che si è unito a lui con grande affetto: qui il dono non è solo materiale, ma anche spirituale.

Questi esempi evidenziano come la parola messione indichi un gesto che riguarda il rapporto tra persone, un atto sociale capace di definire status, reputazione e moralità.

La scomparsa del termine dalla lingua italiana e il cambio di mentalità

Perché una parola così ricca è scomparsa dall’uso? Da un lato, la semplificazione progressiva della lingua ha eliminato molti termini legati alla vita cortese. Dall’altro, la società moderna ha ridotto la rilevanza simbolica del dono inteso come strumento di prestigio sociale. La generosità resta un valore, certo, ma non è più codificata all’interno di un sistema aristocratico di doveri e virtù.

La perdita del termine messione corrisponde quindi a un cambio di paradigma culturale: la munificenza non è più un atto pubblico di nobiltà, ma un comportamento privato. Il lessico si adatta alle nuove forme di relazione sociale.

Messione è una parola dimenticata che racconta una società altamente ritualizzata, in cui il dono aveva un significato morale, politico e poetico. Leggerla oggi significa riavvicinarsi a una cultura in cui la generosità non era solo un sentimento, ma un gesto codificato, carico di valore. Grazie alle sue attestazioni in Dante, nella lirica toscana e nella poesia cortese, messione resta una preziosa testimonianza linguistica della storia della cultura italiana: un termine che, pur non sopravvivendo nell’uso moderno, conserva intatta la forza della sua originaria nobiltà.

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