Lingua italiana: malinconia e melanconia sono la stessa cosa?

11 Luglio 2025

Scopriamo se queste due parole della lingua italiana graficamente e foneticamente molto simili possiedono anche lo stesso significato.

Lingua italiana malinconia e melanconia sono la stessa cosa

È utile aprire uno spazio di riflessione riguardo a due termini della lingua italiana spesso sovrapposti e confusi nel linguaggio quotidiano: malinconia e melanconia. All’apparenza, si tratta di parole quasi sinonimiche, vicine sia nella sonorità che nel significato emotivo che evocano. Tuttavia, una riflessione più approfondita dimostra che si riferiscono a vissuti interiori molto differenti: la malinconia è uno stato dell’animo, un sentimento circoscritto e passeggero; la melanconia, al contrario, è una condizione psichica complessa, duratura e, in molti casi, patologica.

Lingua italiana: malinconia, il dolce dolore del ricordo o del desiderio

Con il termine malinconia ci riferiamo a uno stato emotivo che ha a che vedere con la nostalgia, con il desiderio di qualcosa che è stato o che non è mai stato, con la perdita, reale o immaginata, di un oggetto d’amore, di un’occasione, di un ideale. Il malinconico non è semplicemente triste: prova una forma di tristezza “bella”, quasi voluttuosa, che ha un sapore dolce-amaro. Questa emozione può sorgere, ad esempio, ripensando a un amore non corrisposto, o a un tempo felice ormai passato.

Chi vive nella malinconia è spesso sospeso tra presente e passato, tra ciò che è e ciò che avrebbe potuto essere. La malinconia è dunque una forma di dolore elaborabile, che lascia aperta la porta alla speranza, all’azione, al cambiamento. Spesso essa accompagna momenti di riflessione profonda, di creatività, di rielaborazione dell’identità. È una tristezza che non paralizza, ma invita alla memoria e all’introspezione. La malinconia è, in definitiva, uno stato d’animo umano e fisiologico, attraversato da chiunque in determinati momenti della vita.

La melanconia: una forma profonda di disagio psichico

Diverso è il caso della melanconia, termine che, nella tradizione psicopatologica, indica una condizione depressiva grave, una forma di “lutto senza oggetto”, per riprendere l’intuizione di Freud. Se nella malinconia vi è una consapevolezza della perdita e una possibilità di elaborazione, nella melanconia ciò che è perduto non è sempre identificabile. L’individuo melanconico si sente svuotato, non solo triste, ma privo di legami vitali, incapace di provare piacere, motivazione, desiderio.

La melanconia è infatti una condizione di depressione endogena, ovvero non reattiva a un evento esterno preciso, ma originata da un disequilibrio interno, di natura biologica, genetica o psichica. I sintomi possono includere umore deflesso, apatia, abulia (mancanza di volontà), ansia, angoscia esistenziale, disinteresse per il mondo e, nei casi più gravi, ideazioni suicidarie. Chi soffre di melanconia non riesce a trovare senso nella vita, non perché l’abbia perso a causa di un evento traumatico, ma perché sente che tale senso non è mai esistito o è definitivamente crollato.

La distinzione tra lutto e melanconia in Freud e Klein

Freud, nel suo celebre saggio Lutto e melanconia (1917), distingue la reazione “normale” alla perdita — il lutto, anche quando doloroso — dalla melanconia, dove il soggetto non riesce a elaborare la perdita e, invece di separarsi dall’oggetto perduto, lo “introietta” e rivolge contro se stesso l’odio, la rabbia, il disprezzo. In questo quadro, la melanconia è profondamente patologica: è un lutto impossibile, che si trasforma in autoaccusa e perdita di autostima.

Melanie Klein, invece, offre una prospettiva diversa, in cui anche l’odio può essere una forma di legame. Il paziente che odia intensamente qualcuno che l’ha ferito, non fa altro che manifestare quanto quella persona sia stata centrale nella propria vita. L’odio è quindi un sentimento vitale, sebbene doloroso. Quando però il lutto non viene elaborato, può trasformarsi in senso di colpa cronico e in sintomi persistenti che legano ancora di più al passato.

Una condizione esistenziale che invade tutto il sé

La melanconia, dunque, non è semplicemente una tristezza più profonda: è uno stato psichico pervasivo, che abbraccia l’intera esistenza dell’individuo. Il soggetto non è più in grado di amare, di desiderare, di progettare. Il mondo appare privo di significato, ogni cosa perde il suo valore. A differenza della malinconia, la melanconia non è circoscritta, ma invade ogni aspetto della vita psichica, fino a rendere difficile, se non impossibile, il funzionamento quotidiano.

Proprio per questo, la melanconia richiede un trattamento specifico, che combina interventi farmacologici — per regolare l’umore e sostenere il funzionamento neurochimico — e percorsi psicoterapeutici profondi. Questi ultimi possono aiutare il soggetto a riformulare la propria storia, riconoscere il dolore sommerso e, gradualmente, reinvestire affetti e pensieri nel mondo esterno.

Due parole, due mondi

In conclusione, sebbene malinconia e melanconia possano sembrare, a prima vista, due sfumature dello stesso sentimento, esse appartengono a due ordini diversi dell’esperienza umana. La malinconia è una tristezza comprensibile, legata al ricordo e alla nostalgia, che può essere creativa e feconda. La melanconia, invece, è un buco nero dell’anima, una forma di depressione profonda che annulla il legame con la vita stessa.

Distinguere tra i due termini non è solo un esercizio linguistico, ma un modo per comprendere più a fondo la psiche umana, le sue risorse e le sue fragilità. Riconoscere quando la tristezza si fa malattia è il primo passo per prendersi cura di sé o degli altri con maggiore consapevolezza.

© Riproduzione Riservata