Lingua italiana: “incolpato” e i suoi curiosi significati

22 Settembre 2025

Scopriamo assieme le varie accezioni, anche antitetiche, che può avere la parola della lingua italiana "incolpato".

Lingua italiana: "incolpato" e i suoi curiosi significati

La lingua italiana è ricca di parole che, nel corso del tempo, hanno assunto significati diversi, talvolta persino opposti. Tra queste, un caso particolarmente interessante è rappresentato dall’aggettivo “incolpato”, che può voler dire sia “privo di colpe, innocente”, sia “ritenuto o additato come colpevole”. Questa oscillazione semantica, che può sembrare paradossale, affonda le sue radici nella storia del termine, nei suoi usi letterari e giuridici, e nei processi di trasformazione della lingua.

Il vocabolario della lingua italiana segna due significati contraddittori

Il primo significato di “incolpato”, oggi avvertito come letterario o arcaico, è quello di “senza colpa, innocente”. Troviamo testimonianze in versi poetici che celebrano figure moralmente integre: “Alle incolpate ceneri / Nessuno insulterà”. Qui “incolpate” è usato come sinonimo di immacolate, pure, con una connotazione quasi sacrale.

Il secondo significato, invece, è più vicino all’uso corrente, soprattutto nel linguaggio giudiziario e burocratico: “ritenuto colpevole, accusato di un reato”. Si parla ad esempio di “essere incolpato di tradimento” oppure “incolpato di aver violato una legge”. In questo caso l’aggettivo ha valore di participio passato del verbo incolpare, che significa attribuire a qualcuno una colpa o una responsabilità.

A prima vista i due sensi sembrano incompatibili: come può lo stesso aggettivo indicare sia l’assenza di colpa sia la sua attribuzione? La spiegazione risiede nella storia etimologica e nei diversi percorsi che il termine ha seguito.

Origini e stratificazioni etimologiche

L’aggettivo “incolpato” deriva da due possibili filoni etimologici, entrambi legati al latino e al concetto di culpa.

  1. Incolpato (innocente): viene dal latino tardo inculpatus, participio passato di inculpāre con il prefisso in- in valore privativo, cioè “privo di colpa”. È la stessa logica che ritroviamo in parole come innocente (“non nocente”) o immobile (“non mobile”). In questo senso, l’aggettivo designava una condizione di purezza morale, soprattutto in testi letterari e religiosi.

  2. Incolpato (accusato, colpevole): nasce invece come participio passato del verbo italiano incolpare, a sua volta erede del latino inculpāre, qui però inteso non in senso privativo ma come “attribuire colpa a qualcuno”. In questo caso il prefisso in- non è privativo, bensì rafforzativo, con il valore di “mettere dentro” la colpa, imputarla.

La coesistenza di queste due vie etimologiche spiega la doppia anima del termine. Nella seconda metà del Cinquecento si registra il primo uso documentato della variante “innocente”, mentre già nel Seicento si consolida l’accezione di “accusato”.

Usi letterari e giuridici

Il significato di “privo di colpe” sopravvive soprattutto in contesti poetici e letterari, dove la parola assume un tono elevato, quasi solenne. Parlare di “incolpate ceneri” significa attribuire a una figura defunta una memoria esente da macchie morali, degna di rispetto e venerazione.

In ambito giuridico, invece, ha avuto una particolare risonanza l’espressione “incolpata tutela”, usata per indicare il legittimo esercizio della propria difesa. Qui l’aggettivo non indica colpevolezza, ma si lega alla sfera della giustificazione: un’azione che potrebbe sembrare illecita, ma che non comporta colpa quando è compiuta per difendersi.

Dal XVII secolo in avanti, tuttavia, l’uso prevalente è stato quello di “incolpato” come sinonimo di accusato, vicino al linguaggio processuale. In un verbale o in una cronaca giudiziaria si legge “l’incolpato di omicidio” per designare la persona cui è attribuita la responsabilità di un delitto, prima ancora che la colpa sia definitivamente accertata.

Un paradosso semantico solo apparente

La duplicità di “incolpato” non è un unicum nella lingua italiana. Altri termini hanno sviluppato significati opposti, come “ospite”, che può indicare sia chi accoglie sia chi viene accolto. Queste ambivalenze derivano dalla stratificazione degli usi e dall’interferenza tra etimologia e semantica.

Nel caso di “incolpato”, l’opposizione tra “innocente” e “accusato” riflette due prospettive diverse sul concetto di colpa:

  • da un lato, la negazione della colpa (in- privativo);

  • dall’altro, l’attribuzione della colpa (in- rafforzativo).

La parola diventa così un punto d’incontro di due percorsi linguistici che, pur divergendo, hanno trovato ospitalità nello stesso termine.

L’uso moderno

Oggi la forma “incolpato” è quasi sempre usata nel secondo significato, quello di “accusato”. È la lingua dei tribunali, dei resoconti giornalistici e dei documenti ufficiali. Parlare di qualcuno come “incolpato” implica una situazione di procedimento in corso, senza che vi sia ancora una condanna definitiva.

L’uso letterario di “incolpato” come “innocente” sopravvive solo nelle letture colte o nei testi poetici antichi. Per esprimere l’assenza di colpa, l’italiano moderno preferisce parole più trasparenti e univoche, come “innocente”, “senza colpa” o “esente da colpa”.

“Incolpato” è un aggettivo che porta in sé la complessità della lingua e la sua evoluzione nei secoli. Può significare tanto “innocente” quanto “accusato”, a seconda del contesto storico e linguistico. Questo apparente paradosso non è un difetto, ma piuttosto un segno della vitalità della nostra tradizione lessicale, capace di accogliere strati semantici diversi e di conservarli.

Oggi, nell’uso comune, prevale la seconda accezione, quella giuridico-burocratica. Ma dietro ogni parola si nasconde una storia, e quella di “incolpato” ci ricorda che la lingua non è mai statica: è un intreccio di significati, eredità e trasformazioni che rispecchiano la complessità dell’esperienza umana.

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