Lingua italiana: “gentrificazione”, scopriamone il significato

27 Luglio 2025

Negli ultimi anni molti quartieri di molte città hanno cambiato faccia, spesso in negativo e il fenomeno della gentrificazione può aiutarci a capire.

Lingua italiana gentrificazione, scopriamone il significato

La parola gentrificazione, oggi ben presente nel vocabolario della lingua italiana e nel dibattito urbano e sociologico, ha un’origine etimologica e un’evoluzione semantica che meritano attenzione. Si tratta di un calco omonimico dall’inglese gentrification, a sua volta formato sul termine gentry, che indica la piccola nobiltà inglese, o più in generale l’alta borghesia. Il suffisso -ification, molto produttivo in inglese e corrispondente all’italiano -ificazione, implica un’azione di trasformazione: far diventare qualcosa come un’altra. In questo caso, la trasformazione consiste nel rendere “borghese” un’area urbana precedentemente abitata da classi popolari.

Gentrificazione: un nuovo termine della lingua italiana per un grave problema urbanistico

In italiano, la parola segue una regola derivazionale familiare: da gentrygentrificare (verbo) → gentrificazione (nome). Questa struttura è affine a molte altre nella nostra lingua, come unificare/unificazione, gratificare/gratificazione, o ossificare/ossificazione. Dunque, la forma del neologismo gentrificazione non ha suscitato particolari resistenze sul piano morfologico.

Diverso è invece il discorso sul piano semantico. Il significato del termine, in origine, è legato al fenomeno studiato per la prima volta dalla sociologa Ruth Glass nel 1964, quando osservò come alcuni quartieri storici e popolari di Londra venissero progressivamente occupati da membri delle classi agiate. Questo processo, definito appunto gentrification, comportava il restauro degli edifici, l’aumento dei prezzi degli immobili e, di conseguenza, lo spostamento forzato dei residenti originari, incapaci di sostenere il nuovo costo della vita. La parola conobbe poi ampia diffusione in ambito anglosassone, specialmente negli Stati Uniti, dove si legò anche a dinamiche di tipo razziale e a vere e proprie sostituzioni etniche.

In Italia, invece, la gentrificazione ha assunto una fisionomia prevalentemente sociale e ha avuto un impatto più contenuto. Ha interessato soprattutto alcune aree urbane di grandi città come Roma (Testaccio, Pigneto, San Lorenzo), Milano (Navigli, Isola), Torino (San Salvario) e Firenze (San Niccolò). Qui, il processo ha seguito lo schema classico: un quartiere popolare diventa oggetto di recupero edilizio e valorizzazione, attira nuovi residenti con maggiore disponibilità economica, espelle progressivamente gli abitanti storici, e muta nel profondo il proprio tessuto socio-culturale.

La diffusione della parola in Italia segue un percorso curioso: sebbene gentrification compaia in alcuni articoli di giornale a partire dagli anni Novanta, con una certa cautela e sempre tra virgolette, la forma italianizzata gentrificazione fa la sua prima apparizione nel 2003 in un articolo del “Corriere della Sera”, in cui si critica apertamente il processo di “imborghesimento” in atto in alcuni quartieri milanesi. Da lì in poi, la parola si consolida, entra nella lessicografia ufficiale (GRADIT 2000, Zingarelli 2013, Garzanti 2017), e viene accettata come termine tecnico nel linguaggio urbanistico e sociologico.

Una delle ragioni per cui il calco gentrificazione ha trovato terreno fertile è anche la difficoltà di trovare un sinonimo italiano altrettanto efficace e sintetico. Termini come “imborghesimento”, “riqualificazione urbana” o “trasformazione sociale” risultano infatti troppo generici o incapaci di cogliere la complessità del fenomeno. Gentrificazione, invece, racchiude in sé due aspetti distinti ma collegati: da un lato la riqualificazione materiale degli edifici e degli spazi pubblici, dall’altro la trasformazione della composizione sociale del quartiere, con la conseguente perdita di identità storica e culturale.

Non va poi trascurata la dimensione ideologica che la parola porta con sé. Gentrificazione non è un termine neutro: a seconda del contesto, può essere usato con accezione positiva (valorizzazione urbana, sicurezza, rivitalizzazione) o negativa (espulsione dei poveri, omologazione culturale, perdita di autenticità). È proprio questa sua ambiguità semantica a renderla uno strumento privilegiato nel discorso pubblico, tra attivisti, urbanisti, politici e media.

Hermann Haller e gli italianismi in America

Interessante è anche un uso esteso e metaforico della parola: nel 1991, in ambito linguistico, Hermann W. Haller parlava di gentrificazione dell’italianismo per descrivere l’evoluzione degli italianismi in America, da termini veicolati dalle comunità dialettofone a parole introdotte attraverso canali colti e accademici. In questo caso, la gentrificazione designa un cambiamento di status e di funzione, più che una trasformazione territoriale.

Oggi, pur essendo ancora considerata un tecnicismo, la parola gentrificazione è divenuta familiare a un pubblico più ampio grazie alla circolazione nei media e alla crescente attenzione verso i temi del diritto alla casa, della disuguaglianza urbana e delle politiche abitative. La sua stabilizzazione nel lessico italiano e l’ingresso nei dizionari rappresentano un chiaro esempio di come un neologismo possa radicarsi nella lingua, grazie alla sua efficacia descrittiva e alla sua capacità di esprimere fenomeni nuovi e complessi. Per saperne di più rimandiamo a questo esaustivo articolo dell’Accademia della Crusca: Gentrificazione: ma che vuol dire?.

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