Lingua italiana: che caratteristiche ha chi è “merdellone”?

15 Dicembre 2025

Scopriamo assieme l'origine e il significato di una parola della lingua italiana che potrebbe apparire scurrile ma che in realtà ha una tradizione illustre.

Lingua italiana: che caratteristiche ha chi è "merdellone"?

Tra i vocaboli più coloriti della tradizione della lingua italiana, «merdellone» occupa una posizione curiosa: aspro e triviale all’apparenza, è in realtà una parola con una lunga storia letteraria, che attraversa il linguaggio burlesco rinascimentale e testimonia una straordinaria vitalità morfologica del volgare. Lungi dall’essere un semplice insulto grossolano, «merdellone» costituisce un esempio interessante di come la lingua popolare si intrecci alla lingua colta, penetrando nei testi di autori come Berni e Varchi e lasciando tracce significative nelle riflessioni dei grammatici del Cinquecento.

Lingua italiana e tradizione: un doppio suffisso che amplifica il disprezzo

La struttura di «merdellone» è trasparente ma complessa. La base è il sostantivo «merda», di origine latina (merda, “escremento”), già presente nel volgare medievale con una gamma di significati che va dal concreto al metaforico. A questa base si aggiungono due elementi: il suffisso alterativo -ell-, tipico del vezzeggiativo o del diminutivo; il suffisso accrescitivo -one, spesso impiegato con valore peggiorativo.

Questa combinazione dà origine a un fenomeno che i linguisti chiamano doppia suffissazione, molto frequente nell’italiano antico e nel parlato moderno (“cattivello”, “poveraccio”, “casermone”). In questo caso, però, i due suffissi anziché attenuare la volgarità della base la amplificano. L’effetto è quello di un termine fortemente derisorio, che unisce la dimensione materiale e quella caratteriale.

Come osserva un autore anonimo del Tra-mater (glossario di voci popolari), «merdellone» significa sia “merdoso” sia, figuratamente, “arrogantone, arrogantaccio”. La trasformazione dell’insulto fisico in insulto morale è tipica della semantica volgare: ciò che è sporco diventa ciò che è vile o spregevole.

Le attestazioni letterarie: Berni e la tradizione burlesca

Uno dei primi e più significativi testimoni della parola è Francesco Berni, maestro della poesia burlesca del Cinquecento. Nel verso:

«O ponla su, mozzala, merdellóne»
(Berni, 3-191)

l’insulto è inserito in un contesto tipicamente bernesco, fatto di invettiva scherzosa, comicità aggressiva e gioco linguistico. Berni impiega con frequenza derivati di “merda”, “sudiciume” e simili elementi corporei per ottenere un effetto di rottura rispetto alla lingua illustre petrarchesca. «Merdellone» diventa così parte del registro grottesco e irridente che caratterizza l’intera sua produzione.

La parola non appare quindi come un semplice turpiloquio, bensì come un elemento consapevolmente retorico, che sfrutta la forza espressiva del volgare basso per mettere in crisi le convenzioni della poesia alta.

Varchi: il suffisso -one come tratto della lingua toscana

Una seconda testimonianza importante viene da Benedetto Varchi, raffinato grammatico e intellettuale fiorentino, il quale cita «merdellone» all’interno di un elenco di sostantivi terminanti in -one, suffisso che egli riconosce come caratteristico della lingua toscana:

«Che diremo di ‘capocchio, capone, capassone, babbuasso’, e tanti altri che hanno la fine loro in ‘one’, la quale è propia della nostra lingua, come ‘pastaccione, gocciolone, …merdellóne, moccione, tempione’, ecc.»
(Varchi, 8-2-95)

La citazione illumina un doppio aspetto: Il suffisso -one è percepito dai grammatici come tipico del toscano e dell’italiano “naturale”, non artificiale; La parola «merdellone» è già nel XVI secolo sufficientemente diffusa da poter essere citata come esempio e non come eccezione.

Da questa osservazione emerge la piena appartenenza del termine alla tradizione linguistica italiana, non solo al parlato popolare ma alla riflessione grammaticale colta.

Significato: tra sporcizia morale e arroganza

Il significato primario di «merdellone» è quello indicato dai dizionari storici: persona sudicia, nel senso fisico e soprattutto morale; vile o spregevole, termine che esprime disprezzo totale; in alcuni contesti: individuo presuntuoso e arrogante.

Questo ampliamento semantico dimostra come la metafora della sporcizia, nella lingua italiana, abbia due direzioni principali: da un lato rimanda alla mancanza di decoro, di onore, di integrità; dall’altro suggerisce un eccesso di vanità, un rigonfiamento del sé tipico degli arroganti.

L’“arrogantone” è dunque figura che “puzza” metaforicamente: il suo atteggiamento è ripugnante quanto la sostanza da cui deriva la parola.

Sfumature sociali e antropologiche

Parole come «merdellone» non nascono mai nel vuoto: circolano in contesti popolari, mercati, piazze, arti e mestieri, e solo successivamente entrano nei testi scritti. È probabile che il vocabolo fosse usato come insulto tra uomini, in contesti di competizione sociale o scherzo aggressivo, e che la sua fortuna derivi dal fatto che permetteva di colpire sia l’onore sia la postura del destinatario.

La presenza del suffisso doppio (-ell- + -one) accentua il tono caricaturale: un «merdellone» non è solo uno “sporco”, ma una macchietta, un personaggio ridicolizzato nella sua bassezza morale. La parola appartiene quindi al grande repertorio dell’ingiuria come strumento sociale di regolazione dei comportamenti, e ciò aiuta a comprenderne la vitalità nei secoli.

Persistenza e marginalità nel lessico moderno

Nel linguaggio contemporaneo «merdellone» è raro, sostituito da insulti più immediati e globalizzati. Rimane però attestato in alcuni dialetti toscani e in testi che recuperano il registro burlesco. La sua struttura fonica – ricca di liquidi, gutturali e raddoppiamenti – gli conferisce un’evidente forza espressiva, che ne spiega la sopravvivenza in contesti comici.

È, insomma, una parola che conserva intatto il suo potere evocativo: basta pronunciarla per richiamare un immaginario di sporcizia morale, buffoneria arrogante e comicità popolare.

«Merdellone» è un termine che, dietro la sua rudezza, nasconde una storia robusta e articolata. Nato dalla combinazione della base volgare “merda” con due suffissi alterativi, entra nei testi di Berni e nella riflessione di Varchi, rappresentando così un ponte tra lingua popolare e lingua colta. Il suo significato oscilla tra la riprovazione morale e la derisione caricaturale, rivelando la sorprendente creatività dell’italiano nel costruire parole espressive e socialmente pregnanti. È un vocabolo marginale, certo, ma capace di raccontare, come pochi altri, le dinamiche profonde della lingua e della cultura italiana.

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