Lingua italiana: “donno”, significato dell’ormai rara parola

26 Dicembre 2025

Scopriamo assieme una delle rarità della lingua italiana: la parola "donno", ormai praticamente disusata o relegata alla letteratura.

Lingua italiana: "donno", significato dell'ormai rara parola

La parola “donno” appartiene a quella zona della lingua italiana in cui storia, letteratura e mutamento linguistico si intrecciano in modo particolarmente evidente. Oggi è indicata come disusata e letteraria, e infatti non fa più parte dell’italiano comune; tuttavia, per secoli è stata una parola viva, carica di significati sociali e simbolici, utilizzata da alcuni dei massimi autori della nostra tradizione. Analizzarne l’origine e il valore significa entrare nel cuore dell’italiano antico e capire come la lingua abbia espresso, nel tempo, le idee di potere, autorità e signoria.

Una rarità della lingua italiana

Dal punto di vista etimologico, donno è il corrispettivo maschile di donna. Entrambi i termini risalgono al latino dominus (signore, padrone) e domina (signora). In origine, dunque, “donna” non indicava la figura femminile in senso generico, ma una donna di rango, una signora; allo stesso modo, “donno” indicava il signore, il padrone, colui che esercita un’autorità. Questo valore originario è fondamentale per comprendere l’uso della parola nei testi medievali e rinascimentali.

Nell’italiano antico e nei volgari regionali, “donno” era una forma pienamente legittima e funzionale. Lo testimoniano numerosi testi, dalle cronache alle opere letterarie. Nel Novellino, ad esempio, si legge di Messer Rinieri che “stette col donno d’Alborea”: qui “donno” indica chiaramente un signore feudale, un potente locale. L’uso non ha alcuna sfumatura ironica o arcaizzante: è il termine naturale per designare chi detiene il potere.

Anche Dante Alighieri utilizza più volte la parola nella Divina Commedia, conferendole una dignità altissima. Nell’Inferno, parlando di frate Gomita, Dante dice che ebbe “i nemici di suo donno in mano”: il “donno” è il signore politico, colui al quale si deve fedeltà. In un altro passo, Ugolino è definito “maestro e donno”, unendo in una sola figura l’autorità morale e quella di comando. In Dante, dunque, “donno” non è solo padrone nel senso materiale, ma figura di guida, di dominio e di responsabilità.

Nel corso del Rinascimento, la parola continua a essere usata con naturalezza. Autori come Folengo, Varchi e Caro la impiegano per indicare re, duchi, capi militari. Particolarmente chiara è la spiegazione di Varchi: “Come si dice donna, così ancora si dice donno cioè signore e padrone”. Questa osservazione mostra come, dal punto di vista dei parlanti dell’epoca, il termine fosse perfettamente trasparente e coerente all’interno del sistema linguistico.

Con il passare dei secoli, però, la sorte di “donno” diverge da quella di “donna”. Mentre “donna” perde progressivamente il suo valore esclusivamente nobiliare e diventa il termine comune per indicare il genere femminile adulto, “donno” non compie lo stesso percorso. Al suo posto si affermano altri termini: signore, padrone, dominio, più tardi anche don come titolo onorifico. “Donno” resta legato a un uso alto, letterario, e finisce per uscire dall’uso quotidiano.

Questo processo è evidente già tra Sei e Settecento. In Tasso, “donno” assume spesso una connotazione negativa o tirannica, come nell’espressione “l’iniquo donno di Giudea”. Qui il termine non è neutro: indica un potere corrotto, violento, quasi infernale. Il valore semantico si arricchisce così di una sfumatura etica: il donno non è solo chi comanda, ma chi opprime.

Nei secoli successivi, l’uso di “donno” diventa sempre più marcatamente letterario. Manzoni, Carducci e Pascoli lo impiegano in contesti poetici e simbolici. In Manzoni, i “donni” sono anche i potenti che dominano la “lurida plebe”: la parola acquista un valore collettivo e storico, indicando le classi dominanti. In Carducci, Dante è “giudice e donno”, cioè sovrano morale e spirituale del mondo poetico. In Pascoli, infine, il “donno” è figura di oppressione brutale, capace di marchiare, legare, uccidere: il termine diventa emblema del potere violento.

Fuori dall’uso

Da un punto di vista linguistico, “donno” è dunque un esempio perfetto di parola sopravvissuta nella letteratura ma scomparsa dall’uso comune. Il suo significato è rimasto stabile — signore, padrone — ma il contesto d’uso si è ristretto sempre più, fino a diventare esclusivamente colto e storico. Oggi, incontrare “donno” significa quasi sempre trovarsi di fronte a un testo che guarda al passato o che vuole evocare un’atmosfera arcaica e solenne.

In conclusione, la parola “donno” racconta una storia di trasformazioni profonde. Nata come termine centrale del lessico sociale medievale, si è progressivamente ritirata, lasciando spazio ad altre parole più funzionali alla lingua moderna. Eppure, nei versi dei grandi autori italiani, continua a vivere come simbolo di autorità, potere e dominio, portando con sé l’eco di un mondo in cui le parole nominavano ruoli, gerarchie e destini.

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