La lingua italiana, con la sua eleganza e complessità, è spesso terreno fertile per dubbi apparentemente piccoli, ma capaci di suscitare riflessioni profonde sul rapporto tra norma e uso. Uno di questi dubbi è quello tra uscire di casa e uscire da casa, due costruzioni che, a prima vista, sembrano equivalenti, ma che in realtà si collocano su piani diversi: quello della norma grammaticale e quello dell’evoluzione linguistica. Questo apparente bivio, come ha osservato il grammatico Aldo Gabrielli, è solo in parte questione di correttezza; è anche una questione di precisione semantica, di tradizione linguistica e, non da ultimo, di registro stilistico.
Il primato storico nella lingua italiana di “uscire di casa”
Tradizionalmente, l’espressione corretta è uscire di casa. La preposizione di in questo caso non è un semplice orpello: ha una funzione precisa e antica nella lingua italiana, e indica la provenienza o la separazione da un luogo che è sentito come proprio, abituale, intimo. Uscire di casa implica, infatti, che quella casa sia propria, o almeno che sia percepita come tale dal parlante. Il legame tra soggetto e luogo è forte, identitario, quotidiano. Non si tratta semplicemente di allontanarsi da un punto nello spazio, ma di uscire da uno spazio vissuto, personale, in cui si è radicati.
Questa sfumatura semantica è importante perché, in italiano, le preposizioni non sono intercambiabili: di non equivale a da, anche se la tendenza dell’uso contemporaneo sembra volerlo suggerire. Uscire di casa rientra in un paradigma consolidato, lo stesso di cadere di sella, scendere di carro, saltare di letto, espressioni tutte legate a un’uscita o un movimento da un luogo vissuto, conosciuto, identificato come proprio.
L’ascesa di “uscire da casa”: l’ampliamento dell’uso
Negli ultimi decenni, tuttavia, uscire da casa ha guadagnato terreno. Come scriveva Aldo Gabrielli già nella seconda metà del Novecento, l’uso della preposizione da tendeva ad ampliarsi anche in contesti in cui tradizionalmente si preferiva di. Questa tendenza, definita da Gabrielli come “semplificazione” e “scarsa simpatia per sottili distinzioni”, riflette un mutamento linguistico più profondo: la spinta dell’uso parlato a ridurre la complessità del sistema preposizionale italiano.
L’espansione di da è evidente anche in altri ambiti: si dice campo da calcio anche quando si dovrebbe parlare del campo di calcio dello stadio Meazza, o sedia da giardino invece di sedia di giardino – e così via. Si tratta di un’estensione analogica, un fenomeno frequente nelle lingue vive, dove una costruzione più comune (come da per indicare provenienza, destinazione o funzione) finisce per invadere territori semantici altrui.
Nel caso specifico di uscire da casa, ciò che accade è che il parlante medio, magari poco attento alla distinzione storica tra di e da, applica una logica di coerenza interna: si dice scendere da cavallo, uscire dal negozio, venire da scuola, dunque anche uscire da casa. Questo uso è sempre più frequente, soprattutto nel parlato e nella lingua informale.
Una distinzione ancora utile?
Ma allora, ha ancora senso difendere la costruzione uscire di casa? La risposta è sì, soprattutto in contesti in cui la precisione espressiva e la sensibilità stilistica sono importanti. Uscire di casa è più elegante, più tradizionale e più aderente alla norma grammaticale. È la forma preferita nei testi scritti, nei giornali, nella letteratura, nei discorsi pubblici curati. Anche i grandi autori del Novecento e i giornalisti attenti alla lingua continuano a impiegarla senza esitazione.
Uscire da casa, invece, resta tollerabile – e sempre più accettata – nel parlato e nei contesti informali. Non è (ancora) considerata scorrettissima, ma presenta quel sapore di “lingua meno controllata” di cui parlava Gabrielli. Inoltre, come egli stesso osservava, da sarebbe più appropriata in casi specifici, per esempio quando si vuole evidenziare l’estraneità alla casa: uscire dalla casa della nonna, uscire dalla casa in cui abbiamo dormito una notte. In questi casi, da è non solo accettabile, ma necessario.
La distinzione tra uscire di casa e uscire da casa è, dunque, una questione di registro e di consapevolezza linguistica. Nessuno verrà accusato di errore grave usando uscire da casa in una conversazione, ma chi desidera mantenere un uso più attento e stilisticamente curato della lingua dovrebbe preferire uscire di casa. È una di quelle sottigliezze che non rendono più intelligenti, ma che segnalano una sensibilità verso il linguaggio, una cura per la forma che non è pedanteria, ma gusto per la precisione.
La lingua cambia, certo. Ma sapere che una forma ha una storia, una ragione, una sfumatura che l’altra non ha, è ciò che permette al parlante di scegliere, e non semplicemente di parlare. Tra il rigore grammaticale e la spinta del parlato, il vero equilibrio sta nella competenza: sapere quando usare di e quando usare da, e soprattutto sapere perché.