La locuzione verbale della “risalire la china” è una delle espressioni più evocative della lingua italiana, utilizzata per indicare il difficile processo di ripresa dopo un periodo di crisi o difficoltà. Chiunque si trovi in una situazione negativa, personale, economica o professionale, può ambire a “risalire la china”, ovvero a faticare per riconquistare una condizione migliore, proprio come chi, trovandosi in basso su un pendio ripido, deve fare uno sforzo costante per riguadagnare la vetta.
Lingua italiana e locuzioni verbali: il significato di “Risalire la china”
L’origine di questa espressione è strettamente legata all’immagine concreta di una “china”, ossia un declivio, una discesa. Il termine “china” deriva probabilmente dal latino “clīna”, che significa appunto “pendio” o “declivio”. L’uso del verbo “risalire” rafforza l’idea di un movimento faticoso contro la gravità, una lotta per riprendersi da un momento di debolezza, difficoltà o sconfitta. È un’immagine che si applica bene a molte situazioni della vita umana, dalla ripresa economica dopo una crisi finanziaria al recupero della fiducia in sé stessi dopo un insuccesso.
L’uso e il significato metaforico
Nella lingua italiana, “risalire la china” viene usata soprattutto in contesti figurati. È un’espressione che troviamo spesso nei discorsi giornalistici, nei commenti politici ed economici, ma anche nella vita quotidiana. Si può dire, ad esempio:
“Dopo il fallimento della sua prima attività imprenditoriale, ha lavorato duramente per risalire la china.”
“Dopo un brutto infortunio, il campione ha dovuto risalire la china con mesi di riabilitazione e allenamenti.”
“Il Paese sta lentamente risalendo la china dopo anni di crisi economica.”
Questa locuzione racchiude un forte senso di speranza e di resilienza. Non si limita a descrivere la difficoltà della situazione iniziale, ma pone l’accento sulla possibilità di un miglioramento, seppur attraverso uno sforzo intenso e prolungato.
L’idea alla base di “risalire la china” è universale e si ritrova in molte culture e lingue diverse. Ad esempio, in inglese si potrebbe usare l’espressione “to climb back up” (risalire, riprendersi), mentre in francese si potrebbe dire “remonter la pente”, che ha lo stesso significato letterale di risalire un pendio. In tedesco si potrebbe usare “aus einem Tief herauskommen”, ossia uscire da una crisi profonda.
Ciò dimostra come il concetto di fatica e resistenza di fronte alle avversità sia comune a tutta l’umanità. Tuttavia, la lingua italiana ha il pregio di rendere questo concetto con una metafora immediata ed efficace, legata alla concretezza della nostra esperienza sensoriale.
La bellezza della lingua italiana
La lingua italiana è ricca di espressioni come “risalire la china”, capaci di trasmettere un intero universo di significati con poche parole. La sua straordinaria musicalità, derivata dall’armoniosa combinazione di vocali e consonanti, la rende una delle lingue più apprezzate al mondo. Le sue sfumature espressive permettono di descrivere la realtà con precisione e poesia allo stesso tempo, offrendo una profondità comunicativa difficile da eguagliare.
Inoltre, l’italiano è una lingua che valorizza la tradizione e l’evoluzione storica, mantenendo intatto il legame con il suo passato latino e con la straordinaria produzione letteraria che l’ha resa celebre. Ogni parola, ogni locuzione, ogni espressione idiomatica porta con sé secoli di storia e cultura, rendendo l’italiano non solo un mezzo di comunicazione, ma anche un patrimonio da custodire e tramandare alle future generazioni.
Cosa sono le locuzioni verbali
Le locuzioni verbali sono espressioni linguistiche costituite da un verbo e almeno un complemento, diretto o indiretto, che formano un’unità strutturale e semantica coesa.
Queste combinazioni di parole, che non possono essere separate sintatticamente e talvolta denominate verbi analitici, si suddividono in due categorie principali: le locuzioni verbali in senso stretto e i verbi sintagmatici. I verbi sintagmatici derivano solitamente dall’unione di un verbo con un avverbio, come in espressioni del tipo “andare avanti”, “dare addosso”, “venire via”. Le locuzioni verbali, invece, si compongono di un verbo e di un complemento, diretto o indiretto, come in “fare ammenda”, “avere luogo” o “mettere in atto”.
Il significato di queste espressioni risiede prevalentemente nel complemento, mentre il verbo serve a indicare le caratteristiche grammaticali della frase. Ad esempio, nell’espressione “prendere posto”, il senso principale è trasmesso dal sostantivo “posto”, mentre il verbo “prendeva” assume la funzione di marcare il tempo, il modo, l’aspetto, la persona e il numero:
Caratteristiche delle locuzioni verbali
Poiché il verbo che compone la locuzione verbale ha un valore semantico ridotto, spesso si tratta di verbi generici come “essere”, “avere”, “fare”, “andare”, “venire”, “prendere” e “dare”, noti anche come verbi supporto. Tra le combinazioni più comuni si trovano:
- Essere seguito da un nome di agente con suffisso “-tore” (es. “essere venditore”, “essere amministratore”, “essere formatore”).
- Essere seguito da “in” + nome astratto (es. “essere in apprensione”, “essere in errore”, “essere in contraddizione”)
- Essere seguito da “di” + sintagma nominale modificato (es. “essere di ottimo umore”, “essere di larghe vedute”).
- Avere seguito da un complemento oggetto astratto (es. “avere paura”, “avere sete”, “avere ragione”).
La rigidità delle locuzioni verbali impone alcune restrizioni grammaticali. Ad esempio, quando il verbo principale è coniugato al participio passato, spesso si evita l’accordo con il nome, lasciandolo invariato, come accade in frasi come “fatto menzione”.