Lingua italiana: “baciapile”, il significato della strana parola

23 Maggio 2025

Scopriamo assieme tramite questo articolo il significato e l'origine della curiosissima parola della lingua italiana "baciapile", parola d'altri tempi, forse.

Lingua italiana baciapile, il significato della strana parola

La lingua italiana è ricca di termini coloriti e suggestivi che, oltre alla loro funzione comunicativa, offrono uno specchio delle tensioni culturali e sociali di un’epoca. Tra questi, spicca la parola baciapile, un sostantivo invariabile, usato sia al maschile che al femminile, che combina il verbo baciare con pile, il plurale di pila, cioè il recipiente contenente l’acqua santa nelle chiese cattoliche. Il baciapile è, nel senso letterale, colui che bacia con devozione le pile dell’acqua santa; ma nel senso figurato e prevalente, è “chi esageratamente, e spesso ipocritamente, ostenta devozione religiosa”. Sinonimo di bigotto, bacchettone, o clericale inveterato, il termine si carica di una forte connotazione negativa e ironica, diventando strumento di critica e giudizio.

Origine e formazione della parola della lingua italiana

La parola baciapile nasce come un composto nominale di facile comprensione e forte impatto visivo. L’elemento bacia- richiama l’atto esteriore, visibile, di un gesto devoto e ossequioso; -pile si riferisce agli appositi recipienti di pietra o metallo, tipicamente collocati all’ingresso delle chiese, dove i fedeli si bagnano le dita con l’acqua benedetta per farsi il segno della croce. L’unione dei due elementi restituisce immediatamente un’immagine concreta e riconoscibile: quella del fedele che, appena entrato in chiesa, si avvicina con ardore alla pila per baciarla, gesto che, nel tempo, è diventato il simbolo di una religiosità formale, ostentata e – spesso – priva di autentico sentimento spirituale.

Da gesto devoto a stigma sociale

La trasformazione semantica da gesto devoto a figura caricaturale è il cuore della vicenda linguistica del termine. In una cultura che per secoli ha identificato la moralità pubblica con l’osservanza religiosa, l’accusa di essere un baciapile serviva a smascherare l’ipocrisia di chi faceva della religione una maschera. Così, il baciapile non è tanto il devoto sincero, ma piuttosto colui che esibisce la fede per compiacere il potere ecclesiastico o per sentirsi moralmente superiore, senza che a ciò corrisponda un comportamento etico coerente.

Il termine diventa, quindi, uno strumento di polemica anticlericale, soprattutto nei contesti culturali e politici in cui la religione – o meglio, la sua gestione istituzionale – è vista come una forza conservatrice, autoritaria o ipocrita. In questo senso, baciapile si carica di un senso ironico e satirico, utile per stigmatizzare non solo i comportamenti individuali, ma anche una certa cultura religiosa di facciata.

Il baciapile nella letteratura

Nella tradizione letteraria italiana, personaggi simili al baciapile sono spesso stati oggetto di scherno o di severa denuncia. Pensiamo, ad esempio, al personaggio di Fra Cristoforo ne I Promessi Sposi, contrapposto ai frati ipocriti che si rifugiano nella religione per evitare la responsabilità morale. O ai preti di paese descritti da autori come Giovanni Verga o Luigi Pirandello, spesso accompagnati da una folla di fedeli accondiscendenti e devoti in apparenza, ma pronti a pettegolezzi e giudizi impietosi.

Nel Novecento, la parola baciapile si diffonde nel linguaggio politico e giornalistico, come termine usato da socialisti, laici e comunisti per criticare le ingerenze della Chiesa nella vita pubblica, in particolare nei decenni in cui l’Italia era attraversata dal dibattito tra laicismo e clericalismo. Il baciapile diventa così il simbolo del conformismo religioso, del perbenismo morale, della subordinazione cieca al potere ecclesiastico.

Oggi, il termine baciapile continua a essere usato, seppure con minor frequenza, soprattutto nei contesti di discussione pubblica in cui si denuncia l’uso strumentale della religione. In un’epoca in cui l’autenticità è diventata una virtù comunicativa e sociale, baciapile rappresenta esattamente il contrario: la maschera dell’etica religiosa indossata per opportunismo.

Tuttavia, c’è anche un rischio nell’uso polemico del termine: quello di ridurre ogni forma di religiosità pubblica a finzione, o di mettere sotto accusa chiunque scelga una vita di fede manifesta. In questo senso, baciapile è una parola che andrebbe maneggiata con cura, perché può facilmente diventare uno strumento di generalizzazione e pregiudizio.

Il termine baciapile offre uno spunto interessante per riflettere sul rapporto tra apparenza e sostanza, tra fede autentica e religiosità di facciata, tra moralità vissuta e moralismo ostentato. È una parola che unisce la forza dell’immagine concreta a quella del giudizio etico e sociale. Con una punta di sarcasmo e una vena di indignazione, ci invita a chiederci: quanta parte della nostra morale pubblica è davvero ispirata da convinzioni profonde? E quanta, invece, è costruita su gesti vuoti, rituali ripetuti e convenzioni sociali?

In questo senso, baciapile non è solo un epiteto per smascherare gli altri, ma anche una parola che chiama all’autocritica, che invita ciascuno a riflettere sulla coerenza tra ciò che si crede, ciò che si dice, e ciò che si fa. E in un’epoca in cui l’ipocrisia è spesso mascherata da virtù, il richiamo è più attuale che mai.

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