Nel lessico della lingua italiana, esistono parole che, nel corso del tempo, cambiano significato, si piegano all’uso corrente e si trasformano, spesso diventando qualcosa di molto lontano dal loro senso originario. Tra queste parole, “asfaltare” è uno degli esempi più eloquenti e interessanti. Un verbo nato nel contesto costruttivo e ingegneristico, legato all’urbanistica e al progresso civile, oggi viene usato frequentemente in senso figurato con una connotazione violenta, spesso trionfalistica, al limite della brutalità verbale.
Il significato originario nella lingua italiana: costruzione, viabilità, servizio pubblico
Nel suo significato primario e tecnico, asfaltare significa semplicemente “coprire con asfalto una superficie, solitamente una strada”. È un verbo che porta con sé l’eco dell’operosità, della modernizzazione, del servizio pubblico. Asfaltare una via, un tempo, era simbolo di progresso: significava rendere più facile il transito, migliorare le comunicazioni, creare connessioni tra luoghi e persone. In molte narrazioni del dopoguerra, soprattutto nei piccoli paesi italiani, l’asfaltatura delle strade era un evento atteso e celebrato, un segnale di inclusione nel circuito della modernità.
L’asfalto era, insomma, materia viva della crescita. Era la strada che prendeva forma, il cammino che si apriva, il gesto dell’umano che modifica la natura per renderla funzionale al bene comune. Asfaltare era sinonimo di costruire, organizzare, offrire possibilità.
La metamorfosi: dal costruire al distruggere
Eppure, oggi, basta scorrere una qualunque discussione politica, sportiva o sui social network per rendersi conto che la parola ha assunto un significato radicalmente diverso. “Asfaltare” è diventato sinonimo di umiliare, sconfiggere in modo brutale, distruggere verbalmente l’avversario, annichilirlo senza appello. È usato per indicare una vittoria schiacciante, ma anche un’esibizione di superiorità arrogante e definitiva. Non si tratta più di costruire, ma di radere al suolo.
Questa trasformazione è avvenuta gradualmente, seguendo un processo tipico delle metafore belliche o sportive che invadono il linguaggio quotidiano. Come è successo con “bombardare” (oggi usato anche per indicare l’eccesso di stimoli pubblicitari o informativi), o con “distruggere” (usato anche in senso morale), così “asfaltare” ha mutato direzione, passando dalla sfera della produttività alla violenza simbolica.
Politica e media: l’uso ideologico della parola
Il nuovo uso di “asfaltare” è diventato particolarmente frequente nel discorso politico. È facile imbattersi in dichiarazioni come: “Abbiamo asfaltato gli avversari”, “Li asfalteremo in aula”, “L’opposizione è stata asfaltata”. Si tratta di un lessico che non ammette contraddittorio, che trasforma ogni scontro dialettico in un atto di dominio, ogni divergenza in una guerra da vincere. È il linguaggio del leaderismo muscolare, della semplificazione aggressiva, della retorica della forza.
In questo contesto, “asfaltare” diventa un simbolo della polarizzazione e del rifiuto del compromesso. Non si cerca di convincere l’altro, ma di ridurlo al silenzio. Non si costruisce un ponte, si impone una direzione. La parola, che nasce per unire spazi, viene utilizzata per dividere, umiliare, sottolineare la distanza.
Anche nei media, il termine ha preso piede, soprattutto nei titoli di articoli sportivi e politici. “La squadra X asfalta Y”, “L’oratore asfalta l’avversario”, “Il conduttore asfalta l’ospite in diretta”. È un linguaggio che cattura l’attenzione, ma che alimenta una visione semplificata e violenta delle relazioni. Il dialogo scompare, resta solo la performance.
Social network e linguaggio giovanile
Nei social network, “asfaltare” è una delle parole-chiave del linguaggio virale. Accompagna clip in cui una persona “zittisce” un’altra con una battuta, un argomento o una risposta provocatoria. Anche qui, l’obiettivo non è la comprensione, ma il trionfo. “Asfaltare” diventa sinonimo di vincere senza pietà, umiliare per intrattenere, accumulare consenso nella forma del like o del commento.
Nel linguaggio giovanile, il termine è spesso usato con ironia, ma contribuisce comunque alla normalizzazione di una retorica basata sulla sopraffazione. Non a caso, si parla sempre più spesso di “cultura della competizione tossica”, dove la vittoria è tutto, e l’altro è solo un ostacolo da superare.
La parabola di “asfaltare” è indicativa del nostro modo di vivere il linguaggio e, attraverso il linguaggio, la realtà. La trasformazione semantica di questo verbo ci parla di una società che tende a privilegiare la prestazione sulla relazione, il conflitto sulla costruzione, il successo immediato sulla pazienza del dialogo.
Da verbo del costruire, “asfaltare” è diventato verbo dell’annientare. Questo mutamento dovrebbe farci riflettere su come usiamo le parole, su quanto esse influenzino la nostra percezione degli altri e del mondo. Ogni parola porta con sé una visione, e se anche quelle legate alla costruzione vengono assorbite da una logica di violenza simbolica, rischiamo di perdere la possibilità di costruire davvero qualcosa insieme.
Forse è tempo di riappropriarci del significato originario delle parole, di restituire a “asfaltare” la sua dignità di gesto civile, di opera pubblica, di connessione. In un tempo che sembra voler continuamente asfaltare gli altri, dovremmo invece pensare a spianare strade per tutti — non per trionfare, ma per camminare insieme.