Nel vasto e tormentato (sic.) mondo della grammatica e lingua italiana, non mancano dubbi che fanno vacillare anche i parlanti più attenti. Uno di questi riguarda il verbo bollire e la sua forma al presente indicativo: è corretto dire “bolle” o esiste anche la variante “bollisce”? La risposta corretta è netta e semplice: si dice “bolle”, non “bollisce”. Tuttavia, per comprendere il motivo di questa scelta linguistica, è utile addentrarsi nelle regole della terza coniugazione dei verbi italiani, in particolare quelli che terminano in -ire, e nei meccanismi di evoluzione della lingua.
Lingua italiana: I verbi in -ire e il fenomeno del suffisso -isc-
In italiano, i verbi della terza coniugazione, ossia quelli che terminano in -ire, presentano una particolarità ben nota a chi studia la grammatica: molti di essi aggiungono il suffisso -isc- in alcune forme del presente indicativo, del congiuntivo e dell’imperativo. È il caso, per esempio, di verbi come:
capire: capisco, capisci, capisce, capiscono, capisca, capiscano;
finire: finisco, finisci, e così via;
agire: agisco, agisci, ecc.
Questo fenomeno, ben documentato e sistematico per moltissimi verbi, è tuttavia limitato a un certo numero di lemmi, e non si applica in modo universale a tutti i verbi in -ire. In effetti, circa cinquecento verbi seguono la flessione con l’inserzione di -isc-, ma ce ne sono molti altri che non la ammettono affatto.
Bollire: un verbo senza -isc-
Tra i verbi che non prendono il suffisso -isc-, troviamo proprio bollire. Questo verbo, infatti, segue la coniugazione regolare senza ampliamento del tema:
io bollo
tu bolli
egli/ella bolle
noi bolliamo
voi bollite
essi/esse bollono
La tentazione di usare forme come bollisco, bollisci o bollisce nasce da un processo noto come analogia linguistica: chi parla, soprattutto in modo spontaneo, tende a estendere meccanismi già conosciuti ad altri casi simili. Se finire diventa finisco, allora bollire può sembrare logicamente trasformabile in bollisco. Ma la lingua non sempre segue la logica del parlante: segue la storia, l’uso e la norma consolidata.
Le forme “bollisce” e “bollisco”: esistono davvero?
Se scaviamo nella documentazione storica della lingua italiana, ci accorgiamo che qualche rara occorrenza di bollisce esiste davvero, ma in misura talmente residuale e marginale da non giustificare il suo uso come forma accettata. Consultando archivi come il Tesoro della Lingua Italiana delle Origini (che raccoglie testi dal Duecento al Trecento), la Biblioteca Italiana Zanichelli (testi dal Duecento al primo Novecento) e il Primo Tesoro della Lingua Italiana del Novecento, emerge una verità interessante: il verbo “bollire” è quasi sempre usato nella forma senza -isc-.
Un’unica attestazione della forma “bollisce” si trova in un’opera di Tommaso Garzoni, autore vissuto nel Cinquecento. Ma si tratta di un caso isolato, probabilmente frutto di un uso analogico o di uno sperimentalismo personale. Lo stesso vale per una rarissima occorrenza di “cuciscono” (dal verbo cucire) rinvenuta in un racconto di Carlo Dossi dell’Ottocento. Al di là di queste eccezioni, la lingua italiana scritta e parlata ha sempre preferito (e continua a preferire) le forme semplici e regolari: bolle, non bollisce.
Le grammatiche ufficiali tacciono (e il silenzio vale più di mille sconsigli)
A confermare l’irrilevanza delle forme con -isc- per il verbo bollire, c’è anche un altro dato significativo: nessuna delle principali grammatiche italiane, dalla seicentesca Della lingua toscana di Benedetto Buonmattei fino alla moderna Grammatica italiana di Luca Serianni, menziona le forme “bollisco” o “bollisce”. Nemmeno per sconsigliarle. E questo silenzio, in ambito normativo, è eloquente: le forme non esistono nella norma, e non sono nemmeno considerate errori da evitare, semplicemente perché non fanno parte dell’italiano standard.
Perché allora a volte si sente “bollisce”?
Quando si sentono (raramente) in giro forme come “bollisce”, è probabile che si tratti di un errore analogico o di un regionalismo isolato. Chi le pronuncia lo fa applicando inconsciamente un modello produttivo (come finire → finisco) a un verbo che non lo richiede. Ma, dal punto di vista grammaticale, stilistico e lessicale, queste forme non sono corrette.
In definitiva, tra “bolle” e “bollisce”, non ci sono dubbi: la forma corretta è “bolle”. Il verbo bollire appartiene a quel gruppo che non prevede l’inserzione del suffisso -isc-, e nonostante qualche rara apparizione nei testi antichi o nei corpora di ricerca, bollisce rimane una forma non accettata nella lingua italiana standard.
Un piccolo dubbio, certo, ma sintomatico di quanto la lingua sia viva, soggetta a evoluzioni, tentativi, analogie e anche errori. Eppure è proprio attraverso la comprensione di queste piccole differenze che si può affinare l’uso consapevole dell’italiano — perché, per dirla con una battuta, in italiano non bollisce proprio nulla, al massimo bolle. Per saperne di più: Bollo, bollisco, cucio, cucisco.