Latino: “fortuna” era una vox media: cosa significa?

5 Dicembre 2025

Scopriamo assieme cosa si intende quando si dice che un termine latino è una vox media, e vediamo quali sono, oltre la parola "fortuna".

Latino: "fortuna" era una vox media: cosa significa?

Nella storia delle lingue, poche parole hanno vissuto un’evoluzione semantica tanto significativa quanto il latino fortuna. Per noi parlanti dell’italiano contemporaneo, la fortuna coincide quasi sempre con un esito positivo: buona sorte, occasioni favorevoli, colpi di ventura che migliorano l’esistenza. Chi è “fortunato” è automaticamente percepito come colui che gode di un beneficio, di un dono inatteso, di un vantaggio rispetto agli altri. Eppure questa visione, per quanto radicata nella sensibilità moderna, è profondamente lontana dall’uso originario del termine. In latino, infatti, fortuna era una parola neutra, una vox media, cioè una voce priva di una connotazione intrinseca. Indicare la pura sorte, indipendentemente dal fatto che fosse buona o cattiva.

Per il latino, la sorte non era mai automaticamente positiva: poteva essere secunda oppure adversa, favorevole o contraria, benigna o crudele. Spettava al contesto — agli aggettivi, agli avverbi, alle costruzioni — definire la direzione di questa energia impersonale che governava l’esistenza. E ciò non stupisce in una civiltà che vedeva il mondo come un mosaico instabile di forze e di segni, più che come un luogo ordinato e rassicurante.

La parola “fortuna” in latino: una vox media

Nell’immaginario romano, Fortuna era una divinità dotata di un potere straordinario ma capriccioso. Era raffigurata bendata, spesso in equilibrio sulla ruota che ne simboleggiava l’instabilità. Fortuna distribuiva successi e disgrazie senza un criterio morale, senza nemmeno la pretesa di rappresentare la giustizia divina. In lei convivono quindi bontà e crudeltà: è dea benefica quando elargisce prosperità, ma diventa temibile quando volge le spalle. Il fatto che fosse venerata in tutta Roma come una delle divinità più influenti rivela quanto profondamente il concetto di sorte attraversasse la vita quotidiana degli antichi.

La vox mediafortuna, tuttavia, sopravviveva non solo nel culto religioso, ma anche nel linguaggio. I testi romani sono ricchi di espressioni che rendono evidente la neutralità del termine. Così Seneca parla della fortuna mutabilis, Orazio della fortuna saevo, e Cicerone distingue con eleganza tra la fortuna prospera e quella adversa. L’aggettivo è sempre necessario: senza di esso, fortuna è nient’altro che il puro caso.

La traccia della neutralità nelle origini dell’italiano

Quando dal latino si giunge all’italiano, il significato della parola inizia lentamente a mutare, ma non scompare del tutto la sua origine neutra. I testi medievali restituiscono ancora la fluttuazione semantica della voce. Nerio Moscoli scrive: «poi che fortuna m’è contraria tanto… convèn ch’io mora nel martiro amaro», e Dante stesso utilizza fortuna con il valore latino di “sorte”, come nel celebre passo della Commedia dedicato alla selva dei suicidi: «là dove fortuna la balestra». Non è la Fortuna benevola: è la sorte cieca che scaglia e distribuisce, senza un criterio comprensibile.

È interessante notare come anche la parola sorte — altra vox media — abbia mantenuto la sua neutralità fino ai giorni nostri, a testimonianza del fatto che non tutte le parole incontrano lo stesso destino semantico. Fortuna, invece, inizia sin dal Basso Medioevo a caricarsi sempre più di una connotazione positiva. L’idea pagana di una forza imprevedibile e ambivalente cede lentamente il passo a una concezione più rassicurante, nell’ambito della quale essere “fortunati” significa beneficiare di un esito favorevole.

Echi antichi nelle espressioni cristallizzate del moderno

Nonostante il cambiamento semantico, tracce della neutralità originaria riaffiorano ancora oggi in diverse formule cristallizzate. Non diciamo Fortuna! bensì Buona fortuna: un’aggiunta che risale all’epoca in cui fortuna era intrinsecamente neutra e necessitava di un aggettivo per qualificarsi. È come se la lingua, pur avendo spostato l’ago della bilancia verso la positività, conservasse un ricordo arcaico, un sedimento del suo passato semantico.

Altre espressioni tradizionali, come «le fortune dell’eroe», mantengono ancora il valore di “vicende”, positive o negative. Ma sono usi sempre più rari, relegati alla lingua letteraria o all’espressione colta.

Il parallelo con altre voces mediae: il caso di “reo” e “mostro”

Il destino della parola fortuna non è isolato. Atre voces mediae, come ricordato, hanno seguito percorsi analoghi o divergenti. Reus, che indicava l’imputato senza giudizio di valore, diventa in italiano “reo” nel senso di colpevole. Monstrum, che in latino alludeva a un prodigio — tanto positivo quanto negative — è diventato nel passaggio all’italiano “mostro”, voce irrimediabilmente negativa.

In questo panorama, la vicenda di fortuna è peculiare: da neutra diventa positiva, ma conserva qua e là i segni di una passata ambivalenza. È un caso esemplare di trasformazione semantica graduale, in cui la percezione sociale, la mentalità religiosa, gli usi letterari e il semplice buon senso quotidiano concorrono a plasmare il significato.

Dalla sorte alla felicità: evoluzione del sentire moderno

La progressiva connotazione positiva della parola fortuna coincide con un cambiamento del modo in cui le società occidentali hanno iniziato a percepire il ruolo del caso nella vita. L’idea di un destino incontrollabile e imperscrutabile, proprio delle società antiche, si attenua progressivamente con la diffusione delle religioni monoteistiche e delle filosofie razionalistiche. La fortuna non è più la forza capricciosa che governa il mondo; diventa piuttosto l’occasione favorevole che può essere colta dall’individuo. Il cambiamento linguistico riflette un cambiamento antropologico: il caso non è più una minaccia onnipresente, ma un’opportunità.

La storia della parola fortuna rivela come il significato delle parole non sia mai fisso: si sposta, si adatta, si trasforma insieme alla cultura che le usa. Da vox media neutrale, pura sorte né buona né cattiva, fortuna è diventata nell’italiano moderno un sinonimo quasi esclusivo di esito positivo. Eppure la lingua conserva il ricordo del suo passato: lo vediamo nell’uso degli aggettivi, nelle espressioni cristallizzate, nei testi letterari. Le parole, come gli uomini, portano con sé la loro storia: una storia fatta di trasformazioni, di reinterpretazioni e di memorie linguistiche che emergono quando meno ce lo aspettiamo. Così fortuna, parola antica e mobile, continua a parlarci del rapporto sempre mutevole tra caso, destino e significato.

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