Per spiegare l’invasione di parole straniere nella nostra lingua, riportiamo un ironico articolo giornalistico pubblicato sul Corriere della Sera nel 1972 e firmato da Paolo Monelli.
Il nostro idioma assalito dalle parole straniere. Alle già stagionate set, match, short, hall, cast, recital, chignon, leader, check up, stress, e altre innumerevoli sono venute a rincalzo a battaglioni revival, pop, folk, sub (per «subacqueo» ma anche per «sommergibile»), pre-flight, blow up («ingrandimento fotografico») cover coat (così spiegato nel linguaggio già corrottissimo della moda «un soprabito tipo trench»), prof che sta per professore e per professionista, ed il già invadente colf, «sigla per collaboratrice domestica», che darà finalmente una rima a golf e manderà a ramengo tutta un’allegra schiera: cameriera, camerista, ancella, domestica, fantesca, servente, perpetua, ecc.
Le parole straniere e il difensore della lingua italiana
Pochi sanno che Monelli è stato un grande intellettuale del Novecento italiano. Scrittore, giornalista, reporter di viaggio, critico enogastronomico e, non ultimo, strenuo difensore, a tratti duro e intransigente, della lingua italiana.
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Purtroppo questo encomiabile personaggio, come tanti altri, è caduto nel dimenticatoio, sepolto dalla polvere, abbandonato all’oblio. A recuperare la memoria Massimo Roscia che, proprio come Monelli, oltre a essere uno scrittore, un giornalista e un gourmet, da anni conduce una battaglia a difesa della lingua italiana e della grammatica. Alla figura di Monelli Roscia dedica il suo nuovo romanzo “Il dannato caso del Signor Emme”, un libro colto, erudito, divertente, originale, surreale, un libro che al suo interno contiene una biografia (romanzata) proprio di Paolo Monelli.
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Il dannato caso del Signor Emme
Nel libro non mancano, naturalmente, pagine dedicate allo stato di salute dell’italiano. Alcune scritte da Paolo Monelli, altre da Massimo Roscia ed altre ancora scritte da Monelli ma manipolate da Roscia. Ecco un altro estratto.
Che sia per viltà, inerzia, pigrizia, stortura mentale, servilismo o malinteso adeguamento ai tempi, non saprei dire. Quello che so per certo è che nessuno scrittore o studioso si cura più di conservare un idioma così nobile, armonioso, duttile e solenne come l’italiano; nessuno si dà più premura di sostituire un esotismo con una bella parola (e ne abbiamo tantissime) pescata dal dizionario della lingua italiana. E così finiamo per raccattare indiscriminatamente pacchiani vocaboli stranieri traverso traduzioni frettolose e acciabattate o tali e quali ce li ammansiscono programmi televisivi e signorine buonasera e pubblicità e agenzie e opuscoli e commessi viaggiatori, senza chiederci mai se esistano nel nostro lessico omologhi già belli e pronti.