Nella ricchezza lessicale della lingua italiana, ci sono termini che, sebbene nell’italiano contemporaneo caduti in disuso o relegati alla sfera letteraria, portano con sé un bagaglio semantico di grande interesse storico e culturale. Uno di questi è il verbo “divisare”, forma che oggi appare antiquata ma che, in epoche passate, ha avuto un utilizzo ampio e sfaccettato, specialmente nella letteratura e nei testi dottrinari. Questo verbo deriva dal latino divisare, a sua volta collegato a dividĕre, ovvero “dividere”, e nel corso dei secoli ha assunto significati che vanno ben oltre l’idea di semplice separazione.
“Divisare” nell’italiano contemporaneo: progettare o proporsi
Nel suo primo significato – “proporsi, stabilire, disegnare di fare qualcosa” – divisare si colloca nell’ambito dell’intenzionalità, dell’azione progettuale. Questo uso è ben attestato nella letteratura italiana classica e ha un valore affine all’attuale decidere o intendere. L’espressione “divisò di darsi alla mercatura” implica infatti la formazione di un proposito, l’idea ponderata di intraprendere un’attività.
Ancora più interessante è la sfumatura che si ha nel significato di “immaginare, pensare, giudicare”. In questo senso, divisare si avvicina ai verbi supporre o ritenere. Ad esempio, nella frase “io mi diviso che voi già sappiate come si convenga procedere in questo affare”, tratta da un’opera di Paolo Segneri, l’autore intende esprimere una supposizione, una convinzione personale. È una funzione cognitiva: il soggetto non agisce, ma elabora mentalmente.
Questa accezione ci rivela un tratto peculiare della lingua antica e letteraria: la capacità di condensare in un solo verbo non solo un pensiero, ma anche la sua implicita proiezione verso l’azione. In questo, divisare si distingue per la sua densità semantica.
“Divisare” come dividere e descrivere
Il secondo ambito di significato è più aderente all’etimologia del termine. Divisare, in senso antico, può infatti significare “dividere, separare, spartire”. In un celebre esempio tratto dalla traduzione dell’Eneide ad opera di Annibale Caro, leggiamo che Ulisse “divisò le veci”, ossia spartì i compiti, assegnando a ciascuno il proprio dovere. È un impiego che riflette fedelmente l’origine latina del verbo, collocandolo nel campo delle funzioni distributive e organizzative. La figura dell’eroe o del condottiero che divisa i compiti dei suoi è una costante nei testi epici e religiosi del medioevo e del Rinascimento.
Ma oltre al significato pratico e operativo, divisare assume anche una connotazione descrittiva, talvolta analitica. Significa esaminare parte per parte, descrivere ordinatamente, come accade in Dante con l’espressione “sotto così bel ciel com’io diviso”. Qui il verbo si avvicina a un’azione intellettuale più elevata: quella dello scrutare e raccontare, del narrare per ordine, quasi con metodo scientifico. È anche questo uno degli usi che troviamo nelle novelle di Boccaccio, dove l’autore si domanda: “perché vi vo io tutti i paesi cerchi da me divisando?”, dando voce a un narratore che percorre e seleziona le storie, dividendole e organizzandole.
“Divisare” come differenziare e travisare
Un altro significato, oggi completamente desueto, ma presente nelle testimonianze antiche, è quello di “differenziare”, spesso nella forma riflessiva divisarsi, cioè “differenziarsi”. È un senso affine a distinguersi, ma può anche significare contraffare, camuffare o travisare. Questa sfumatura semantica mette in luce un altro versante del verbo, dove il “dividere” originario assume un significato più sottile e simbolico: non più solo separazione o organizzazione di elementi, ma trasformazione delle apparenze, mimetismo linguistico o sociale.
È interessante notare come in questa accezione divisare si avvicini a dinamiche proprie del travestimento o dell’inganno, quasi come se la divisione dell’identità implicasse un cambiamento dell’essenza stessa della cosa o della persona nominata. Questo significato, benché marginale, rivela il potenziale ambivalente della parola, capace di oscillare tra il lucido ordinare e il subdolo alterare.
Persistenze e tracce moderne
Oggi il verbo divisare non è più in uso nella lingua comune, e la sua presenza si limita per lo più ai testi letterari, filosofici o alla filologia. Tuttavia, rimane vivo nella forma participiale “divisato”, usata in contesti burocratici o tecnici per indicare qualcosa che è stato progettato, concepito, pianificato. Ad esempio, in linguaggio urbanistico o architettonico si può trovare l’espressione “l’intervento divisato prevede…”, a testimonianza della resistenza della forma in contesti formali e specialistici.
Il verbo divisare rappresenta un magnifico esempio della ricchezza e stratificazione della lingua italiana, che nel corso dei secoli ha saputo plasmare parole capaci di veicolare molteplici sfumature. Dalla progettazione all’immaginazione, dalla divisione materiale alla narrazione ordinata, fino alla travisazione dell’identità, divisare ha toccato registri tanto pratici quanto intellettuali.
Risulta dunque una parola preziosa per comprendere non solo la storia linguistica italiana, ma anche l’evoluzione delle modalità del pensiero, della narrazione e dell’azione nel nostro lessico culturale. Sebbene oggi relegato agli archivi del linguaggio letterario, divisare è un testimone ancora eloquente della profondità semantica e simbolica della nostra lingua.